Signor Presidente, Signor Presidente della Commissione legislativa, Signora Presidente della Commissione per gli affari sociali, Signor Relatore, Signora Relatrice, Signore e Signori Deputati,
Dominique Bertinotti, Ministra della Famiglia, ed io abbiamo l’onore e il privilegio di presentarvi a nome del Governo un progetto di legge che traduce l’impegno del Presidente della Repubblica di aprire il matrimonio e l’adozione alle coppie dello stesso sesso.
Concernendo lo stato delle persone, saranno principalmente le norme del Codice civile relative al matrimonio, all’adozione e all’attribuzione del cognome ad essere modificate.
Dominique Bertinotti e io ci siamo impegnate a partecipare attivamente, e nel rispetto delle prerogative parlamentari, alle due sedute della Commissione legislativa, dal momento che, in seguito alle modifiche del Regolamento dell’Assemblée nationale, è sul testo risultante dai lavori della commissione che discuteremo durante le prossime due settimane, weekend compresi.
Non abbiamo mai sottovalutato l’importanza di questa riforma. È proprio per questo motivo che abbiamo accolto con il più grande rispetto tutte le persone che hanno accettato di essere ascoltate. Siamo consapevoli di quale sia l’utilità dei lavori della commissione. Essi hanno migliorato il testo e le disposizioni che sono state introdotte, vi saranno illustrate dai relatori.
Vorrei soffermarmi un istante sull’evoluzione del matrimonio affinché si possa comprendere meglio ciò che stiamo per fare.
In un contesto in cui si ama spesso citare il decano Jean Carbonnier, non mi sottrarrò io stessa dal farlo. Nel 1989, in occasione del convegno sul bicentenario della rivoluzione francese, egli definì il matrimonio civile come “la gloria nascosta” della Rivoluzione. Carbonnier faceva chiaramente riferimento ai vivaci dibattiti che avevano accompagnato l’introduzione del matrimonio civile, la sua natura contrattuale, la sua durata, ossia la possibilità di divorziare. A quell’epoca, due religioni riconoscevano il divorzio, la religione protestante e la religione ebraica, mentre la religione cattolica, maggioritaria, dichiarava il matrimonio indissolubile. Il decano Carbonnier ritiene pertanto che il costituente del 1791 abbia compiuto una vera è propria rivoluzione con l’introduzione del matrimonio civile. La secolarizzazione del matrimonio è stata così consacrata nella Costituzione del 1791.
Il matrimonio civile reca con sé il segno dell’uguaglianza. Si tratta di una vera e propria conquista fondatrice della Repubblica, all’interno di un movimento generale di laicizzazione della società.
Una tale conquista è stata importante soprattutto per coloro che erano esclusi dal matrimonio a quell’epoca. Dopo la revoca dell’editto di tolleranza, detto editto di Nantes, nel 1685, i protestanti non potevano contrarre matrimonio se non segretamente, rivolgendosi ai loro pastori. Essi non potevano costituire una famiglia e i loro figli erano considerati bastardi. A partire dal 1787, l’editto di tolleranza autorizza nuovamente i preti e i giudici a celebrare questi matrimoni, in quanto ufficiali dello stato civile. C’è dunque una prima apertura, due anni prima della rivoluzione, grazie a tale riconoscimento di pluralismo religioso e alla possibilità di includere nel matrimonio coloro che ne erano esclusi, in particolare i protestanti e gli ebrei. Ma il matrimonio include ancora soltanto i credenti.
Vengono ancora esclusi gli esercenti alcune professioni, ad esempio gli attori, perché la religione proclama che non può riconoscere le pratiche infami degli attori di teatro. É proprio il celebre attore Talma a rivolgersi alla Costituente dopo che il curato di Saint-Sulpice si era rifiutato di effettuare le pubblicazioni del suo matrimonio con una «donna di mondo», come si diceva all’epoca.
I costituenti decidono così di introdurre un matrimonio civile e prevedono nell’articolo 7 del titolo II della Costituzione del settembre 1791 che il matrimonio non è altro che un contratto e che il potere legislativo stabilirà per tutti i cittadini, senza distinzione, le modalità in base alle quali la nascita, il matrimonio e la morte saranno constatati e designerà gli ufficiali incaricati di constatarli e di registrarli.
Il matrimonio civile permette così non solo di includere i credenti non cattolici, ma è aperto a tutti, ossia tutti coloro che desiderano contrarre matrimonio possono disporre degli stessi diritti e devono rispettare gli stessi doveri.
Una tale concezione del matrimonio civile, che reca in sé l’impronta dell’uguaglianza, ne fa essenzialmente una libertà, perché fin dalla sua introduzione nell’ordinamento, anche il divorzio viene ugualmente riconosciuto. Nella relazione accompagnatoria della legge del 1792, vi si trova scritto che il divorzio è il portato di una libertà individuale, e l’esistenza di un legame indissolubile la negherebbe. Poiché il matrimonio è la libertà delle parti e non la sacralizzazione di una volontà divina, tale libertà di contrarre matrimonio non si può concepire se non congiuntamente alla libertà di divorziare e poiché il matrimonio viene disgiunto dal sacramento che l’aveva preceduto, potrà rappresentare i valori repubblicani e incorporare progressivamente i cambiamenti della società.
La migliore manifestazione di questa libertà si ritrova nell’articolo 146 del Code civil, che non è stato mai cambiato, e secondo il quale non vi è matrimonio senza il consenso. Quest’articolo stabilisce dunque la piena libertà dell’uno e dell’altro coniuge uniti nel matrimonio.
Se si ricorda che il matrimonio era originariamente un’unione di patrimoni, di eredità, di parentele, e che si passava dal notaio prima di passare al prete, il fatto di riconoscere la libertà di ciascuno dei coniugi è un progresso considerevole, a tutt’oggi iscritto nel codice civile.
Il divorzio, dunque, si accompagna fin da subito al matrimonio. Sarà proibito nel 1816, in un contesto in cui le correnti conservatrici sono dominanti e in cui si assiste a un regresso delle libertà, specialmente quelle delle donne. Sarà ristabilito nel 1884 attraverso la legge Naquet, ancora una volta nell’ambito di un movimento generale di laicizzazione della società. L’evoluzione del matrimonio reca in effetti in maniera molto marcata il segno della laicità, dell’uguaglianza e della libertà, che sono valori che si sono evoluti nel nostro diritto e nella nostra società, in base ad uno sviluppo diacronico che ha conosciuto a volte forti tensioni.
È dunque all’interno di un movimento di laicizzazione dello stato civile, delle libertà individuali, della società in generale che il divorzio sarà reintrodotto nel 1884. È in effetti nel corso di questo decennio che altre leggi relative alla libertà individuale, come la legge sulla stampa, le leggi relative alla libertà d’associazione o alla libertà sindacale, e subito dopo la legge sulla separazione della Chiesa dallo Stato, entrano in vigore. L’istituto del divorzio sarà consolidato nel 1975 dalla reintroduzione del consenso reciproco, che era stato già riconosciuto nel 1792, come anche dell’incompatibilità di carattere.
Il matrimonio, unitamente al divorzio, è espressione quindi di una libertà, compresa quella di non sposarsi, ed è questa la ragione per la quale la legge riconosce le famiglie fuori dal matrimonio e sta progr
essivamente riconoscendo i figli di queste famiglie. Il matrimonio, che è riuscito a separarsi dal sacramento, si sta ora separando allo stesso modo da un ordine sociale fondato su una concezione patriarcale della società, concezione che fa del marito e del padre il proprietario, il possessore del patrimonio, e allo stesso tempo anche della moglie e dei figli.
Questa evoluzione del matrimonio e del divorzio, che permetterà d’ora in avanti alle coppie di scegliere liberamente l’organizzazione della loro vita, sarà iscritto nella legge perché, dopo 10 secoli, l’istituzione del matrimonio conosce una evoluzione verso l’uguaglianza, ed è proprio quello che noi stiamo per fare oggi: completare l’evoluzione verso l’uguaglianza di questa istituzione nata con la laicizzazione della società e del matrimonio.
Tale evoluzione riguarda innanzitutto le donne, con l’eliminazione del riferimento al capo della famiglia, il riconoscimento della comunità di vita, la legge del 1970 e poi quella del 1975 che reintroduce il mutuo consenso. Il riconoscimento dei diritti delle donne sarà progressivamente sancito dalla legge. Siamo nell’anno 1970, ossia appena una quarantina d’anni fa, il che significa che oggi sono ancora in vita donne che hanno avuto bisogno dell’autorizzazione del proprio coniuge per aprire un conto in banca, per sottoscrivere un contratto o compiere atti di disposizione del proprio salario e, così, essere riconosciute come soggetti di diritto.
Questa evoluzione verso l’uguaglianza, che ha modernizzato la nostra istituzione del matrimonio riconoscendo la donna come soggetto di diritto, ha consentito anche un progressivo riconoscimento dei diritti dei minori. Con la legge del 1972, il legislatore eliminerà ogni differenza tra i figli legittimi e i figli naturali. Procederà, pertanto, ad una riscrittura delle norme sull’affiliazione, così da riconoscere l’uguaglianza dei diritti dei figli siano essi legittimi o naturali.
Nel 2000, una sentenza della Corte europea dei diritti umani, la sentenza Mazurek, costringerà la Francia a porre fine alle discriminazioni subite dai figli adulterini, e solo grazie ad una ordonnance del 2005, convertita in legge nel 2009, le nozioni di figlio legittimo e di figlio naturale sono scomparse dal nostro codice civile. Il figlio diviene quindi a sua volta un soggetto di diritto.
Nel presentarvi oggi questo progetto di legge, che contiene norme che aprono il matrimonio e l’adozione alle coppie omosessuali a parità di condizioni normative, il governo ha deciso di permettere alle coppie dello stesso sesso di entrare in questo istituto e di formare una famiglia come le coppie eterosessuali, sia attraverso un’unione di fatto che noi chiamiamo concubinage, sia attraverso un contratto, il PACS, sia attraverso il matrimonio.
È proprio questo istituto che il governo ha deciso di aprire alle coppie dello stesso sesso.
È un atto di uguaglianza.
Si tratta di un matrimonio identico a quello che è regolato attualmente nel nostro codice civile. Non si tratta di un matrimonio di seconda categoria, non si tratta di un’unione civile riadattata. Non si tratta di un imbroglio, di un inganno: si tratta di un matrimonio inteso quale contratto tra due persone e in quanto tale produttivo di regole d’ordine pubblico.
Sì, è proprio il matrimonio con tutto il suo carico simbolico e tutte le sue regole di ordine pubblico, che il governo apre alle coppie dello stesso sesso, alle stesse condizioni di età e di consenso da parte di ciascuno dei coniugi, con gli stessi divieti, le stesse proibizioni sull’incesto, sulla poligamia, con gli stessi doveri di assistenza, di fedeltà, di rispetto, stabiliti dalla legge del 2006, con gli stessi doveri per ciascun coniuge l’uno nei confronti dell’altro, gli stessi doveri dei figli verso i genitori e dei genitori verso i loro figli.
Sì è proprio questo matrimonio che noi apriremo alle coppie dello stesso sesso. Che qualcuno ci spieghi perché due persone che si sono incontrate, che si sono amate, che sono invecchiate insieme dovrebbero accettare la precarietà, la fragilità e perfino l’ingiustizia, per il solo fatto che la legge non riconosce loro gli stessi diritti che a un’altra coppia altrettanto stabile con un progetto di vita condiviso.
Che cosa toglie alle coppie eterosessuali il matrimonio omosessuale? Se non gli toglie niente, abbiamo il coraggio di definire per quello che sono sentimenti e comportamenti. Noi osiamo parlare di menzogne rispetto alle parole pronunciate in occasione di questa campagna di panico sulla presunta soppressione delle parole “padre” e “madre” dal codice civile e dal livret de famille (stato di famiglia?).
Abbiamo il coraggio di parlare di ipocrisia rispetto a coloro che si rifiutano di vedere le famiglie omoparentali e i loro figli esposti alle incertezze della vita. Abbiamo il coraggio di parlare di egoismo rispetto a coloro che pensano che un’istituzione della Repubblica possa essere riservata ad una categoria di cittadini.
Noi affermiamo che il matrimonio aperto alle coppie dello stesso sesso illustra bene il motto della nostra Repubblica. È un esempio di liberté, della libertà di scegliere, della libertà di decidere di vivere insieme.
Noi proclamiamo attraverso questo testo l’égalité, uguaglianza di tutte le coppie, di tutte le famiglie.
Infine affermiamo anche che in questo atto vi sia un avanzamento della fraternité, della solidarietà, poiché nessuna differenza può costituire un pretesto per una discriminazione di Stato. Voi protestate contro il fatto che il matrimonio e l’adozione siano aperti alle coppie dello stesso sesso esattamente le stesse condizioni delle coppie eterosessuali in nome di un presunto diritto al bambino (che, tra l’altro, non esiste). In altre parole, o voi state affermando che le coppie eterosessuali hanno diritto previsto dal codice civile ad avere un bambino, oppure questo diritto ad avere un bambino non esiste affatto – e infatti non esiste – e le coppie omosessuali avranno il diritto di adottare alle stesse condizioni delle coppie eterosessuali.
In nome di un tale preteso diritto al bambino, voi negate il riconoscimento di diritti a dei bambini che voi avete deciso di ignorare. Il testo che vi presentiamo non è affatto in contrasto con la Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia. Al contrario, protegge dei bambini che voi avete deciso di ignorare. Le coppie omosessuali potranno adottare alle stesse condizioni delle coppie eterosessuali, secondo le medesime procedure: l’autorizzazione sarà accordata alle stesse condizioni dai Consigli generali, l’adozione pronunciata alle stesse condizioni dal giudice, in base all’articolo 353 del Code civil a mente del quale l’adozione può essere pronunciata qualora sia nell’interesse del bambino. Conseguentemente le vostre obiezioni non hanno alcun fondamento, se non un’oggettiva difficoltà ad includere nelle vostre rappresentazioni la legittimità delle coppie dello stesso sesso. Eppure, i vostri figli e i nostri nipoti le includono già e le includeranno sempre di più in futuro. E voi sarete assai a disagio se, per curiosità, essi leggeranno i resoconti del nostro dibattito!
Noi abbiamo dunque deciso di aprire il matrimonio e l’adozione alle coppie dello stesso sesso. Il matrimonio, in base ai riferimenti storici e giuridici che ho già ricordato, è stata un’istituzione di proprietà dal momento che inizialmente è servita a unire patrimoni, eredità, le parentele. È
stata un’istituzione di possesso dal momento che il marito e padre aveva un’autorità assoluta sulla sposa e sui figli. È stata un’istituzione di esclusione, l’abbiamo visto: il matrimonio civile ha posto fine all’esclusione dei credenti non cattolici e degli esercenti certi tipi di professione, dunque di tutta una serie di cittadini. Questo matrimonio, che è stata un’istituzione di esclusione, ora sta per divenire, grazie all’inclusione delle coppie dello stesso sesso, un’istituzione universale. Ecco dunque che il matrimonio diviene un’istituzione universale!
Potete continuare a rifiutarvi di vedere, a rifiutarvi di guardarvi intorno, a rifiutarvi di tollerare la presenza perfino vicino a voi e perfino, forse, nelle vostre famiglie, di coppie omosessuali. Potete continuare a rivolgere lo sguardo ostinatamente verso il passato, eppure guardando bene il passato vi troverete tracce indelebili di forme di riconoscimento ufficiale, anche da parte della Chiesa, di coppie omosessuali.
Avete scelto di protestare contro il riconoscimento dei diritti di queste coppie: sono affari vostri. Per quanto ci riguarda noi siamo fieri di ciò che facciamo. Siamo talmente fieri che vorrei definire l’atto che stiamo per compiere con le parole del poeta Léon-Gontran Damas: “bello / come una rosa / di cui la Tour Eiffel assediata all’alba / vede infine schiudersi i petali” . È “grande come un bisogno di cambiare aria”. È “forte come l’accento acuto di un richiamo nella notte lunga”.
(traduzione di Francesco Bilotta, con la collaborazione di Sara Garbagnoli)
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