Anche Washingoton D.C. ha il suo same-sex marriage

 

di Matteo WINKLER*

 

E ora siamo a sei. Il 2 marzo 2010, infatti, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato di valutare il merito delle istanze avanzate dagli oppositori del matrimonio tra persone dello stesso sesso, che è così entrato in vigore nel distretto della Columbia, l’area sulla quale si trova la capitale Washington D.C. Anche se non si tratta di uno Stato in senso proprio, il riconoscimento del diritto delle coppie gay e lesbiche di unirsi in matrimonio a Washington segue gli altri cinque Stati nei quali il same-sex marriage è in vigore: Massachusetts, Vermont, New Hampshire, Connecticut e Iowa.

 

Com’è noto, la strada verso il same-sex marriage può essere percorsa in due modi: attraverso un’elaborazione giurisprudenziale, che si fonda sull’analisi costituzionale delle norme in materia di matrimonio rispetto al principio di uguaglianza; ovvero mediante un intervento ad hoc del legislatore. In questo caso, la legge che estende alle coppie dello stesso sesso il diritto di unirsi in matrimonio ha solitamente un doppio valore: da un lato, elimina la diversità di sesso dei nubendi quale requisito di validità del matrimonio; dall’altro, riafferma la libertà delle chiese e degli istituti di ispirazione religiosa di rifiutarsi di celebrare nozze tra persone dello stesso sesso. E’ proprio questo il caso della legge del 1° gennaio 2010, adottata dal Consiglio del Distretto della Columbia, l’organo che governa il territorio della capitale.

 

La legge in questione modifica una norma del Codice del Distretto, originariamente approvato nel 1901, in modo da affermare la capacità di contrarre matrimonio indipendentemente dal sesso. Di conseguenza — recita la legge — “gender-specific terms shall be construed to be gender-neutral for all purposes throughout the law”. Inoltre, per quanto riguarda il secondo aspetto cui sopra si è fatto cenno, la legge afferma che in materia coniugale ogni organizzazione religiosa risponde unicamente alla propria dottrina, in ossequio alla libertà di religione riconosciuta dal Primo Emendamento della Costituzione federale. Inoltre, nessuna organizzazione religiosa è tenuta a offrire ospitalità, nei propri immobili, a nozze tra persone dello stesso sesso. Viene così separata la sfera civile, quella di competenza dello Stato, dalla sfera religiosa, che rimane protetta dalla libertà generale di esprimere le proprie convinzioni religiose senza restrizioni imposte dallo Stato.

 

Si tratta di una formula felice già conosciuta dalla legge del Vermont che nel 2009 introdusse il same-sex marriage nello Stato. In questo modo, attraverso una sorta di “magistero separato”, si riaffermano due libertà ben distinte: quella di sposarsi con la persona di propria scelta e quella di non vedersi imporre la partecipazione a una cerimonia che non si approva per motivi religiosi.

 

Nel caso di Washington D.C., la Corte Suprema era stata adita dagli oppositori del same-sex marriage, che chiedevano la sospensione della legge adottatata dal Consiglio del Distretto per consentire alla popolazione di esprimervisi a mezzo di referendum. L’ufficio elettorale distrettuale aveva già rigettato questa pretesa, sulla base del divieto, contenuto in una legge del 1979, di proporre referendum che violano i diritti fondamentali delle persone. La Corte Suprema, nel rigettare il ricorso, nota che il Congresso, che pure avrebbe potuto opporsi alla legge del Consiglio, non l’ha fatto. Che non vi siano più tanti (o tanto attivi) oppositori del same-sex marriage nel parlamento federale? Inoltre, la Corte considera che è in corso la valutazione, in corte d’appello, di una proposta di referendum abrogativo (ballot) che prescinde dall’effettiva entrata in vigore della legge. Solo qualora la proposta venisse bocciata, sarebbe ammesso il ricorso alla Corte Suprema, che però ora si rifiuta di prendere in considerazione il caso.

 

E’, questa, l’ennesima pronuncia dell’Alta Corte volta a prendere tempo? Quel che è certo è che il dibattito sul same-sex marriage si svolge ora in ogni sede: nelle aule giudiziarie, nelle assemblee legislative, nelle sedi dei partiti, nelle iniziative elettorali. Ora negli uffici comunali di Washington D.C. le coppie gay della capitale possono finalmente convolare a nozze. Che l’abrogazione del famigerato Defense of Marriage Act sia il prossimo passo?

 

 

*Matteo Winkler è socio di Avvocatura per i Diritti LGBT – Rete Lenford ed è avvocato del Foro di Milano. Per qualsiasi domanda, dubbio o osservazione puoi scrivere direttamente all’autore del saggio: matteo.winkler@gmail.com

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