Le coppie gay europee e la direttiva 38/2004

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27 marzo il decreto legislativo di attuazione della Direttiva 2004/38 della Comunità Europea, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
È stata elaborata durante gli anni del governo Berlusconi e vi ha contribuito l’allora ministero alle politiche comunitarie Rocco Buttiglione. La libera circolazione dei cittadini europei da un paese all’altro è uno dei cardini sui quali si basano gli accordi comunitari. Gli spostamenti possono avvenire per vari motivi: per poter intraprendere un nuovo lavoro, per studiare oppure per vivere in un altro paese europeo una volta che si è andati in pensione. Naturalmente il cittadino europeo che si sposta ha il diritto di portare con sè i propri familiari, e questo è un aspetto sul quale si è molto dibattuto viste le disparità sul concetto di famiglia che ci sono da un paese all’altro.

Nella maggioranza dei paesi europei, come noto, le coppie omosessuali sono considerate famiglia, con varie modalità che variano da paese a paese. L’Italia, ancor oggi, non permette a due persone omosessuali di poter ufficializzare in alcun modo la propria relazione e questo mette i gay e le lesbiche su un piano di oggettiva inferiorità rispetto agli altri cittadini.
Ad esempio, se un italiano eterosessuale che lavora per una multinazionale è trasferito alla sede di New York anche al coniuge verrà concesso il permesso di soggiorno e dunque si potrà trasferire senza problemi, ma per il cittadino italiano omosessuale e il/la compagno/a questo è impossibile, in quanto non si può produrre alcuna certificazione che attesti la relazione e dunque l’immigrazione statunitense non rilascerà il visto per il partner. Rimanendo in ambito europeo è importante sottolineare che l’implementazione delle Direttive è un atto dovuto. Infatti anche l’Irlanda e l’Austria (tra i pochi rimasti che ancora  non hanno una normativa sulle coppie di fatto) hanno già recepito la Direttiva 38 e dunque rilasciano permesso e carta di soggiorno per il partner, anche se dello stesso sesso, in conformità con “il divieto di discriminazione contemplato nella Carta gli Stati membri e senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su motivazioni quali sesso (…) o tendenze sessuali.”

Il ‘coniuge’
Il testo italiano di recepimento della Direttiva all’art. 2 specifica che per “familiare” si intende “il coniuge” oppure “il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante.” Già questo punto pone un quesito interessante riguardante il ‘coniuge’: se un tedesco che ha lavorato e contratto matrimonio in Canada con un canadese vuole venire a vivere in Italia, il nostro paese concede il permesso di soggiorno anche al suo sposo canadese? C’è da ricordare che la Corte di Giustizia europea ha già affermato il fatto che la libera circolazione è uno dei diritti fondamentali dei cittadini dell’UE, per cui l’Italia non può impedire al suddetto tedesco di poter venire a vivere qui, e certamente non lo può costringere a separarsi dalla persona con la quale è sposata. Ma andiamo avanti.

La “relazione stabile debitamente attestata”
Il seguente art. 3 poi specifica che ci sono anche altri “aventi diritto”, oltre a quelli elencati dall’art. 2. Il decreto “si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza” e che, “senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione”, lo Stato membro ospitante deve agevolare l’ingresso e il soggiorno anche a chi “é a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione”. Anche al “partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell’Unione.” L’effetto più macroscopico di questa nuova legge sarà che dall’11 di aprile in poi un cittadino europeo che ha una relazione stabile e attestata anche con un cittadino extracomunitario avrà la possibilità di trasferirsi in Italia col proprio partner, mentre gli stessi italiani che sono nella stessa identica situazione (partner non europeo) si vedranno negata tale possibilità. Su questo punto però il recepimento italiano creerà problemi: se ad esempio un francese ha vissuto e lavorato per anni in Gran Bretagna e ha un’unione civile “attestata” dalle autorità inglesi (dunque da uno Stato diverso dal suo) ciò si traduce in una limitazione alla libertà di movimento col partner. Da notare infatti che il testo originale della direttiva (quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L 158 del 30 aprile 2004) parlava semplicemente di “relazione debitamente attestata” e che l’aggiunta che tale attestazione deve e essere fatta “dallo Stato del cittadino dell’Unione” esiste solo nel testo italiano.

I “motivi di ordine pubblico”
Nei casi sopra descritti il diritto di ingresso e di soggiorno non è automatico ma ogni Stato membro ospitante deve effettuare un “esame approfondito della situazione personale e giustifica l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.” Elencando le possibili “limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno” l’art. 20 del decreto italiano prevede che “Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.” Questi provvedimenti vanno “adottati nel rispetto del principio di proporzionalità ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. L’esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.”

Da notare ora un’altra cosa: il testo originale della Direttiva pubblicato sulla gazzetta europea (art. 27, comma 2) continuava specificando che “Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.” Questo paragrafo è ‘scomparso’ dalla versione italiana. Perché?
Gli italiani con meno diritti degli stranieri
Quello che succede con questo recepimento è che, dall’11 aprile in poi, giorno di entrata in vigore della legge, sarà quindi possibile a un partner extracomunitario ricongiungersi a un cittadino Ue. Ma continuerà ad essere impedito a un italiano di farsi raggiungere nel suo stesso paese dal suo partner. Un gran bel caso di palese discriminazione questa volta messa in atto da uno Stato verso i suoi stessi cittadini, quando omosessuali: impossibilitati a sposarsi, come in Spagna o Olanda, e impossibilitati a poter contrarre un’Unione civile, come in Gran Bretagna. Impossibilitati perfino a vedersi riconosciuta come semplice ‘coppia di fatto’ convivente, come sarebbe nelle intenzioni dei DiCo, provvedimento di basso profilo che ha tentato di mettere fine a qualche discriminazione ma contro il quale si è scatenata tutta l’intransigente intolleranza dei vertici della chiesa e di gran parte della vecchia classe politica che ci governa. E grazie alla quale siamo ormai rimasti l’unico tra i sei paesi fondatori della Comunità Europea che dalla stessa attinge in a
bbondanza fondi e finanziamenti, ma continua a negare a parte dei propri cittadini quei diritti civili che già tutti gli altri paesi riconoscono. Non è, crediamo, niente di cui andare orgogliosi.

 

 

 

 

Allegati

dlgs 30_2007_taddeucci direttiva.doc

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