Mentre in Sud Africa il Civil union Bill diventa legge, da noi il Consiglio dei Ministri è affannato nell’introdurre norme nel nostro sistema in sintonia con la direttiva comunitaria 2000/78, in materia di ricongiungimento famigliare, il cui termine di recepimento è ampiamente scaduto. L’Italia sarà obbligata a dare rilevanza alla convivenza e alle unioni stabili costituite in Paesi in cui ciò è giuridicamente possibile.
Arriveremo al paradosso per cui due italiani dello stesso sesso che hanno una relazione stabile saranno indifferenti al diritto (e ciò anche nel caso in cui si riconoscano diritti ai singoli – secondo la sciagurata dizione del programma ulivista – giacchè la coppia sarà in quanto tale comunque ignorata), mentre se nella relazione è coinvolto un cittadino extracomunitario cominceremo ad occuparci di loro.
Il fatto è che in Italia esistono coppie dello stesso sesso che avendo molti soldi, vanno all’estero a sposarsi, a fare figli, o si recano da avvocati costosissimi a stipulare accordi di natura patrimoniale o trust per aggirare le restrizioni del diritto successorio. Un po’ come avveniva quando l’aborto o il divorzio non c’erano. Per i ricchi non era un problema, si faceva un viaggio o si pagava la Sacra Rota e tutto era a posto.
Che Paese è questo in cui il censo è un requisito per il godimento dei diritti di cittadinanza?
Queste cose nei Palazzi del potere si conoscono, anzi si vivono nella quotidianità. Ma, appunto, lì ci sono i ricchi e si gestisce il potere come se si fosse legibus soluti. La questione morale che tanto si è agitata in Italia ai tempi del caso Unipol, pare del tutto rientrata non solo per ciò che concerne le scalate finanziarie. La questione morale pare non abbia dignità nel dibattito attinente al riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali e delle loro relazioni di coppia.
Si ha un bel dire da parte dei ministri competenti che non vi è alcuna forma di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali e che anzi si cercherà nella misura del possibile di riconoscere loro dei diritti (e ci mancherebbe altro vista la nostra Carta costituzionale!). Il vero passo decisivo verso una “normalizzazione” della vita di migliaia di cittadini è ben lungi dall’essere compiuto: riconoscere gli omosessuali come persone in grado di costruire relazioni stabili di affetto, o detto in altre parole una famiglia.
Per fortuna, che tra la teoria e la pratica esiste un abisso. Nei prossimi giorni probabilmente si apprenderà una notizia che farà saltare alcuni politici sulle loro poltrone, assisteremo ad un rigurgito omofobico di questa maggioranza e torneremo a relegare i cittadini omosessuali nei posti in cui la società dei “normali” ama relegarli, ossia – usando un’espressione di Mario Mieli – il ghetto, fatto di luoghi in cui possono esprimere la loro fisicità, dal momento che i sentimenti per loro non sono pensabili.
Tutto ciò è semplicemente vergognoso e la cosa che fa indignare di più è che nessuno gay o etero, in quanto cittadino non si senta offeso e non protesti ad alta voce per un tale modo di gestire la cosa pubblica.
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