Il Tribunale costituzionale spagnolo con la sentenza n. 41 del 13 febbraio 2006 ha riconosciuto per la prima volta l’illegittimità del licenziamento a causa dell’orientamento sessuale. La stampa spagnola ha dato ampio risalto alla vicenda.
Il caso risale al 30 luglio 2002, quando la compagnia di volo italiana Alitalia notificò il licenziamento ad un proprio impiegato analista di marketing, assunto con contratto a tempo indeterminato. L’azienda aveva motivato il licenziamento spiegando che il dipendente contestava sovente gli organi direttivi della Compagnia e commetteva errori di calcolo nello svolgimento delle proprie mansioni, dimostrando in tal modo una mancanza di diligenza che avrebbe giustificato il licenziamento.
Il lavoratore aveva presentato ricorso contro il licenziamento davanti al Tribunale di Barcellona, che ne aveva riconosciuto l’illegittimità, riscontrando l’esistenza di violenze psicologiche subite dal lavoratore tra l’ottobre 2001 e il luglio 2002 a causa del proprio orientamento sessuale. Nel procedimento la compagnia aerea non è riuscita a dare la prova contraria, limitandosi a contestazioni generiche e mancando di provare il compimento di comportamenti rilevanti sul piano disciplinare.
Dopo il giudizio di primo grado, l’Alitalia aveva presentato ricorso al Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna, il quale, ribaltata la decisione assunta in prime cure, affermava che il licenziamento non può essere considerato immotivato, per la presenza di alcune violazioni contrattuali da parte del lavoratore, che comportavano conseguenze disciplinari.
Il Tribunale costituzionale, invece, riconfermando la sentenza di primo grado, afferma che nonostante l’orientamento sessuale non sia espressamente menzionato nell’art. 14 della Costituzione come una delle ipotesi concrete per le quali esiste il divieto di trattamenti discriminatori, è senza dubbio da tenersi incluso in quella parte dell’articolo che fa riferimento a “qualsiasi altra condizione o circostanza personale o sociale”. Inoltre, ritiene che l’omosessualità abbia in comune con le altre ipotesi di divieto di discriminazione di cui all’art. 14 Cost. “il fatto di essere una differenza storicamente molto vituperata e che ha posto gli omosessuali, sia a causa dell’azione delle istituzioni, sia a causa della pratica sociale, in posizioni svantaggiate e contrarie alla dignità delle persone, che l’art. 10.1 della Costituzione protegge, a causa dei profondi pregiudizi radicati normativamente e socialmente contro questa minoranza”.
Il Tribunale ricorda che quando si prova indiziariamente che un contratto risolto può nascondere la lesione di diritti fondamentali, come la discriminazione a causa del proprio orientamento sessuale “incombe al datore di lavoro provare che la propria decisione risponde a motivi ragionevoli e del tutto estranei alla violazione del diritto del quale si tratta”.
Il Tribunale Costituzionale ritiene che si sarebbe potuta affermare la legittimità del licenziamento solo se l’impresa avesse comprovato le violazione contrattuali contestate nella lettera di licenziamento e avesse dimostrato la totale mancanza di connessione tra il licenziamento e l’omosessualità del lavoratore. Non avendo dato tale prova, il Tribunale costituzionale ha ritenuto che questa connessione esiste molto chiaramente perché i fatti provati riflettono comportamenti pieni di disprezzo del superiore del lavoratore rispetto al suo orientamento sessuale, “così come l’esistenza di una organizzazione e distribuzione del lavoro che lo pregiudicava, sovracaricandolo di compiti da svolgere, indica, come minimo, la possibilità che la lesione ci sia stata”.
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