Nella percezione comune è ormai considerato come il “matrimonio omosessuale” sebbene la legge non lo chiami così, bensì Civil Partnership, ovvero Unione Civile.
Si commette un errore chiamandolo matrimonio? Dal punto di vista della legge certamente sì, in quanto il suo nome proprio è un altro.
Dal punto di vista della tradizione forse ancora sì, in quanto è innegabile che il matrimonio, inteso come istituzione giuridica, ha visto da secoli protagonisti una donna e un uomo (anche se ciò è avvenuto in una situazione nella quale l’omosessualità o era criminalizzata o era condannata a vario titolo, quindi non era immaginabile che una domanda di accesso al matrimonio potesse venire da una coppia omosessuale).
Però da un punto di vista sostanziale si fa fatica a trovare differenze tra l’istituto del matrimonio e quello della civil partnership, in quanto il loro contenuto è quasi coincidente.
È evidente quindi che la percezione comune, riportata da televisione e giornali, fa attenzione soprattutto all’aspetto sostanziale più che alle differenze legali legate al nome, qualunque sia la ragione che abbia portato il legislatore a creare tale distinzione. Peraltro esistono altre legislazioni, come per esempio quelle dei paesi scandinavi, nelle quali sono stati trovati nomi differenti per istituti praticamente identici al matrimonio, ma introdotti esclusivamente per le coppie omosessuali.
Il Civil Partnership Act, approvato nel regno Unito il 21 novembre 2004, è entrato in vigore solo il 5 dicembre 2005, cioè a distanza di oltre un anno, per dare tempo al governo e al parlamento di emendare tutta la legislazione direttamente modificata dall’introduzione della civil partnership, assicurando così che ogni articolo di questo nuovo istituto giuridico potessero produrre effetti fin dal primo giorno della sua entrata in vigore.
D’altronde chi leggesse il testo del Civil Partnership Act noterebbe subito che si tratta di una legge destinata unicamente a regolare l’unione tra persone dello stesso sesso estremamente corposa e dettagliata, nonché molto articolata per renderla applicabile nei diversi regni (Galles, Inghilterra, Irlanda del Nord e Scozia) che costituiscono il Regno Unito. Niente a che vedere, quindi, con altri modelli legislativi presenti nei paesi europei, che regolano le unioni di fatto o le convivenze registrate, spesso prevedendo una disciplina unica per quelle omosessuali e quelle eterosessuali. Questi altri modelli si presentano solitamente come leggi scarne, di pochi articoli, non organiche, alcune pensate per assicurare solo una tutela minima, che attribuiscono un limitato numero di diritti e doveri, a volte utilizzando la tecnica del rinvio ad altre leggi, per esempio prevedendo la parificazione dei conviventi ai coniugi per alcuni ristretti fini.
Il testo inglese, organico e complesso, crea quindi un istituto che ha poche differenze dal matrimonio, le quali sono essenzialmente rinvenibili nel diverso rito-cerimonia della registrazione (che per esempio può essere solo civile e mai religioso) e in poco altro.
(continua)