Unioni civili: brevi note sugli schemi di decreto legislativo e sui pareri espressi dal Parlamento

Pubblichiamo, in allegato, una nota sui decreti attuativi delle unioni civili e una scheda sull’iter in parlamento degli schemi di decreto, a cura dell’Avv. Antonio ROTELLI socio di Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford.

Unioni civili: brevi note sugli schemi di decreto legislativo e sui pareri espressi dal Parlamento.

(di Avv. Antonio ROTELLI)

Le competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato hanno espresso i pareri sugli schemi di decreto legislativo del Governo rispettivamente il 9 e il 16 novembre. Le deleghe di cui alla legge n. 76 del 2016 sono le seguenti:

1) adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni (comma 28, lettera a);

2) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo (comma 28, lettera b);

3) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la legge 76 delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti (comma 28, lettera c). In tutto il Governo ha presentato tre schemi di decreto legislativo con i quali vengono modificati e integrati i regolamenti dello stato civile, la legge di diritto internazionale privato e il codice penale. Senza entrare eccessivamente nel dettaglio, quelli che seguono sono gli aspetti che lo scrivente ritiene maggiormente salienti:

A) L’attuazione dell’articolo 1, comma 20, della legge.

Il comma 20 della legge è generalmente considerato l’architrave dei contenuti delle unioni civili, ma tra gli schemi di decreto non ve n’è uno che gli dia attuazione, né è prevista la presentazione di un ulteriore schema di decreto legislativo per dargli attuazione. La spiegazione sta nel fatto che il Governo definisce l’articolo 1, comma 20, della legge 76/2016 «norma generale» e «clausola di adeguamento automatico», ovvero ritiene che il comma 20 sia auto applicativo1 . Questo è scritto nella relazione illustrativa di uno degli schemi (n. 346), laddove il Governo fa propria l’interpretazione del comma 20 come “norma direttamente precettiva circa il riferimento di ogni disposizione, afferente al matrimonio e al coniuge, alla costituzione dell’unione civile e alla parte della stessa, tutte le volte che tale riferimento sia funzionale all’effettività della tutela dei diritti o garantisca l’adempimenti degli obblighi derivanti dall’unione civile”. Ma quali siano o cosa si intenda per diritti derivanti dall’unione civile a cui il comma 20 fa riferimento, ovvero se ce ne siano altri oltre quelli espressamente indicati dalla legge 76, non viene chiarito2 . Sul punto la dottrina si è interrogata molto e numerose letture sono state offerte, di cui le più interessanti sono quelle che fanno leva sul principio antidiscriminatorio e sulla tutela della vita familiare per scardinare la portata limitativa del primo inciso del comma 20. Tuttavia, scrive ancora il Governo, il comma 20 è “una norma di coordinamento, limitata nel suo oggetto, nelle sue finalità e con riguardo all’ambito di applicazione”. Anche qui, il Governo evidenzia i limiti del comma 20, ma non li definisce. In questo modo rischiano di restare aperti problemi interpretativi che potrebbero tradursi in difficoltà applicative. Alcuni esempi: non viene chiarito se l’INPS potrebbe rifiutarsi di riconoscere la pensione di reversibilità, oppure se l’Agenzia delle entrate potrebbe non parificare il trattamento fiscale degli uniti civilmente a quello dei coniugi, o – ancora- se nei rapporti tra privati, ad esempio con il datore di lavoro, potrebbero sorgere problemi. Non è escluso che in alcuni o in tutti i casi precedenti e oltre potrebbe profilarsi il ritorno dinanzi ai tribunali sia da parte delle coppie unite civilmente che si vedessero rifiutato il riconoscimento di un diritto, sia da parte di chi volesse opporsi a tale riconoscimento. La mancata attuazione del comma 20 attraverso un decreto legislativo, con la motivazione che si tratta di una disposizione generale auto applicativa è un rischio, anche se può essere – in senso diametralmente opposto – un’opportunità. La spiegazione sta in ciò: in un ipotetico decreto legislativo che avesse elencato le disposizioni riferite a matrimonio e coniugi che si applicano agli uniti civilmente, come ad esempio fece l’Inghilterra nel 2005 a seguito dell’introduzione della civil partnership, ci sarebbero potute essere dimenticanze o esclusioni espresse volute dal Governo. Al contrario, però, la mancata elencazione dei diritti riconosciuti non elimina i dubbi su ciò che ci si può aspettare dal comma 20, nonostante un recente intervento della Corte costituzionale in materia di reversibilità (sentenza n. 176/2016), abbia citato direttamente il comma 20 della legge sulle unioni civili, indicandola come clausola generale, in base alla quale verrebbe estesa la pensione di reversibilità alle unioni civili. Si tratta di un obiter dictum, ovvero di una citazione incidentale, ma ha certamente un forte peso specifico sulle future applicazioni dell’istituto;

B) I matrimoni e le unioni civili contratte all’estero.

A proposito di matrimoni, unioni civili o altri istituti analoghi contratti all’estero, la delega (art. 28, lettera b) stabilisce che ad essi debba applicarsi la disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane. Nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo (n.345) si precisa che tale principio direttivo deve essere interpretato in primo luogo nel senso che il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero produce in Italia sempre e solo gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge n. 76 del 2016, tanto che sia stato contratto tra italiani o tra stranieri o, ancora, tra un italiano e uno straniero. In pratica, ai fini degli effetti in Italia non rileverebbe la cittadinanza delle parti unite in matrimonio. Al contrario, la stessa relazione mette in rilievo che all’unione civile costituita all’estero (non quindi il matrimonio) non si applica necessariamente la legge n. 76 del 2016, ma occorre fare delle distinzioni, ad esempio in base alla nazionalità delle parti, in quanto lo scopo del diritto internazionale privato è proprio quello di coordinare l’ordinamento italiano con quelli stranieri. Pertanto, se si applicasse in via esclusiva e generalizzata la legge italiana a tutte le situazioni create all’estero sarebbero contraddetti i principi del diritto internazionale privato e si violerebbe la delega attribuita dal legislatore.

I concetti espressi dalla relazione di accompagnamento e riportati nei due precedenti periodi sono però in aperta contraddizione tra di loro, in quanto ritengono di applicare correttamente i principi del diritto internazionale privato alle unioni civili contratte all’estero, ma di ignorarli quando ad essere contratto all’estero sia un matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ciò non è possibile, dovendo fare applicazione dello stesso principio ad entrambe le situazioni (matrimonio e unione civile), pertanto i matrimoni contratti all’estero, almeno quelli tra cittadini stranieri, dovrebbero produrre in Italia gli effetti del matrimonio e non delle unioni civili. In questo senso si è espresso anche il parere approvato dal Senato, ma purtroppo ponendo la questione solo come “osservazione” e non come “condizione”, il che determina che il Governo non è t
enuta a rispettarla.

C) I matrimoni tra italiani contratti all’estero.

Sempre in materia di matrimonio contratto all’estero, il Governo sostiene che dal principio di delega si possa desumere un divieto per comportamenti elusivi della disciplina italiana da parte di cittadini italiani «che si rechino all’estero per sottrarsi alla legge n. 76 del 2016 in una logica di system shopping». In questo caso la relazione illustrativa afferma che alle coppie italiane sposate all’estero non si applicherebbero le disposizioni del diritto internazionale privato, trattandosi di una situazione «totalmente italiana» che è stata deliberatamente trasformata in «transnazionale» allo scopo di applicare un regime giuridico non previsto dalla legge italiana. Pertanto l’unione non sarebbe da considerare «estera», ma «nazionale», con l’applicazione in toto della legge 76/2016. Sembrerebbe che il legislatore delegato dica che il matrimonio tra due cittadini italiani sorgerebbe anche formalmente come unione civile anche se contratto all’estero, in quanto il presunto matrimonio sarebbe stato contratto in frode alla legge italiana, mentre il diritto internazionale privato (legge n. 218 del 1995) si applicherebbe nel caso di unione civile costituita all’estero da cittadini italiani abitualmente residenti all’estero e/o da stranieri. Lasciando da parte il tema dell’applicazione del diritto internazionale privato al caso di specie, le affermazioni governative non sono condivisibili in quanto è la stessa legge 76 a riconoscere come matrimoni quelli contratti all’estero da coppie dello stesso sesso, senza distinguere tra coppie italiane e straniere (art. 1, comma 28, lettera b). Non può esserci più alcun dubbio, quindi, che l’ordinamento italiano riconosce sempre, quindi, l’esistenza e la validità di un matrimonio validamente contratto in base alle leggi del Paese di celebrazione, limitandosi a stabilire che in Italia avranno gli effetti dell’unione civile, ma – come illustrato al punto B – non in tutti i casi.

D) La trascrizione dei matrimoni contratti all’estero.

Sulla base delle esperienze di questi primi mesi di attuazione della legge 76 si assiste ad un’applicazione diversificata delle disposizioni sulla trascrizione da parte degli ufficiali di Stato civile e -sulla base del contenuto dei decreti legislativi- non sembra che la situazione sia destinata a modificarsi. A parte il fatto che i matrimoni contratti all’estero non vengono trascritti nel registro dei matrimoni, si pongono le seguenti varianti principali: 1) casi nei quali si dà atto della costituzione del matrimonio all’estero, ma si prosegue decretando la “costituzione” dell’unione civile nel momento della trascrizione; 2) casi nei quali non si indica l’esistenza del matrimonio, ma si riporta che nel paese straniero le due persone in una certa data hanno costituito una unione civile; 3) casi nei quali si riporta la conclusione del matrimonio all’estero e si specifica che dal 5 giugno 2016 esso produce in Italia gli effetti dell’unione civile, anche se la richiesta di trascrizione è successiva a tale data. Quest’ultima variante è tra tutte la più esatta, in quanto assume correttamente la trascrizione come momento di pubblicità dell’atto e non di efficacia dello stesso, che si produce dal momento della celebrazione e, nel caso italiano, almeno dal momento dell’entrata in vigore della legge sulle unioni civili, lasciando irrisolto il problema della efficacia prima del 5 giugno 2016, su cui né la legge 76 né gli schemi di decreto legislativo sono intervenuti.

E) L’armonizzazione in materia penale.

Ritiene il Governo che il comma 20 della legge ha delimitato l’equiparazione tra matrimonio e unione civile ai soli effetti civili, tributari, amministrativi, giuslavoristici, ma non anche a quelli penalistici, in quanto una equiparazione generica come quella contenuta nel comma 20 potrebbe essere considerata in contrasto con il principio di tipicità e, quindi, con il principio di legalità. Fatta tale premessa, il Governo adotta un decreto legislativo in materia penale (n. 346), fondandolo sulla delega di coordinamento contenuta al comma 28, lettera c) della legge 763 . La predetta delega dispone che si proceda ad un “necessario coordinamento” di “disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti di varie fonti del diritto”, ma non cita espressamente il diritto penale, il che allo scrivente pone il dubbio che l’adottando decreto legislativo possa non superare il problema del rispetto del principio di tipicità e di legalità, mancando nella legge 76 una qualsiasi specifica delega al Governo ad operare il necessario coordinamento in materia penale. Il dubbio permane esaminando la precaria motivazione offerta dal Governo nella relazione illustrativa dello schema: l’intervento sarebbe giustificato, secondo il Governo, dal fatto che la legge 76 interviene espressamente sul diritto penale sostanziale estendendo alle unioni civili l’applicazione – laddove compatibile – dell’articolo 12-sexies della legge sul divorzio (n. 898/1970), che in caso di omesso versamento dell’assegno divorziale prevede l’applicazione delle pene previste dall’articolo 570 del codice penale. Il fatto che la legge 76 contenga una sola e unica disposizione penale che forse si applica in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare appare troppo labile per giustificare l’intervento operato dal Governo, pur tenendo presente la generosa giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di delega legislativa in materia penale (sentenze n. 308 del 2002, n. 198 del 1998, n. 117 del 1997, n. 198 del 1998, n. 4 del 1992), recata da leggi che chiaramente ed espressamente intervenivano a modificare la disciplina penale sostanziale. Il mancato coordinamento della legge sulle unioni civili con il diritto penale, sostanziale e processuale, è una delle dimenticanze della legge 76 alla quale occorre porre rimedio, ma sarebbe opportuno che ci fosse un nuovo intervento normativo per mettere al sicuro la materia da eventuali successivi interventi della Corte costituzionale che potrebbe dichiarare l’incostituzionalità del decreto legislativo.

F) I pareri delle camere e il termine per adottare i decreti legislativi.

I pareri espressi da Camera e Senato sui decreti legislativi sono stati favorevoli, ma contengono osservazioni e condizioni. Mentre le osservazioni non pongono obblighi al Governo, le condizioni, come dice la parola stessa, condizionano l’adozione dei decreti legislativi al loro rispetto. Tuttavia, se il Governo non intenda conformarsi ai pareri, dovrà trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni, le motivazioni per le quali non ritiene di rispettare le condizioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. In tale ultimo caso, i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari dovranno essere espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

Si tenga inoltre conto che il termine originario per l’adozione dei decreti legislativi (5 dicembre 2016) è comunque slittato di tre mesi (fino al 5 marzo 2016) in quanto gli schemi sono stati presentati dal Governo oltre il termine che avrebbe consentito al Parlamento di esprimere i suoi pareri entro trenta giorni prima del 5 dicembre 2016. Fino all’adozione dei decreti legislativi, la disciplina delle unioni civili è regolamentata da un decreto transitorio o decreto ponte. Tale decreto, adottato con provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, ha una efficacia limitata nel tempo, come ha sottolineato il Consiglio di Stato nel parere reso il 21/07/2016, n.1695/2016. Ha scritto il Consiglio di Stato che: «dette norme regolamentari infatti, sono, per volontà legislativa, connotate da un’intrinseca e insuperabile provvisorietà che preclude – almeno in assenza di altri
eventuali, futuri interventi normativi di rango primario – la stessa concepibilità di una loro ultrattività dopo la data del 5 dicembre 2016 (termine ultimo, fissato dal comma 28 dell’articolo 1 della legge, per l’esercizio della delega). In altri termini, la fonte regolamentare, attualmente idonea in considerazione della sua provvisorietà, non potrebbe considerarsi più tale ove destinata a rimanere, in un prossimo futuro, l’unica disciplina dell’istituto». Occorre precisare che la tassatività del termine richiamato dal Consiglio di Stato non è riferita alla data in sé del 5 dicembre 2016, ma tiene conto del meccanismo di rinvio di tre mesi già stabilito dalla norma primaria (legge 76). Pertanto, la validità ed efficacia del decreto ponte è procrastinabile fino al 5 marzo 2017, come in effetti accadrà in base a quanto ho già scritto.

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