Con ordinanza resa ieri in un procedimento promosso da Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, il Tribunale di Lecco ha definitivamente inibito all’Ufficiale dello stato civile di Lecco di cancellare dalle schede anagrafiche il cognome comune scelto dalle parti di una unione civile e poi trasmesso alla figlia nata successivamente alla costituzione del vincolo.
Il Giudice, infatti, ha ritenuto che il decreto legislativo n. 5/2017 (uno dei tre decreti attuativi della “legge Cirinnà”) deve essere disapplicato nella parte in cui ha imposto agli Ufficiali dello stato civile di cancellare le annotazioni dei cognomi eseguite in vigenza del c.d. “decreto ponte”.
Il caso, seguito dai soci avvocati Stefano Chinotti e Vincenzo Miri e dalla Presidente dell’Associazione, avv.ta Maria Grazia Sangalli, era stato segnalato da una coppia di donne che, nel settembre 2016, aveva fatto trascrivere il matrimonio contratto in Portogallo, scegliendo il “cognome comune” ai sensi del comma 10 della legge Cirinnà. In forza del “decreto ponte” (D.P.C.M. del 23.7.2016) il cognome dell’unione era stato trasferito alla figlia nata nel successivo mese di novembre. Il Governo, emanando il decreto legislativo n. 5/2017 aveva tuttavia imposto una “retromarcia”, riducendo la portata del cognome a mero “cognome d’uso” e disponendo la cancellazione dello stesso dalle schede anagrafiche (e conseguentemente dai documenti: codice fiscale, carta d’identità etc.), così da impedirne la trasmissibilità ai figli.
Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, agendo in via d’urgenza, ha ottenuto l’inibizione di un tale illegittimo esito. Il Tribunale di Lecco, ieri, ha confermato il provvedimento cautelare reso lo scorso 9 marzo, statuendo che “l’avvicendamento di norme ha senz’altro prodotto nella fattispecie in esame una lesione della dignità della persona e dell’interesse supremo del minore”, protetti anche da norme sovranazionali. È quindi giustificata “la disapplicazione del citato art. 4, comma 2 del d. lgs.vo n. 5/2017”, stante il “principio del primato del diritto dell’Unione”.
Il Tribunale con una pronuncia importante anche in relazione al procedimento d’urgenza nel quale è stato incanalato, ha chiarito che il nome adempie “alla funzione di tutelare il diritto alla proiezione sociale della persona” e alla “funzione di identificazione sociale”, tutelate costituzionalmente.
Inoltre, e con riguardo a eventuali figli di coppie unite civilmente, il Tribunale ha ricordato che, in base alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, “l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private” e, del resto, “il diritto del figlio alla conservazione del proprio status familiare e alla salvaguardia della propria identità, quale principio fondamentale dell’individuo, recentemente sta ottenendo sempre maggiori riconoscimenti dalla giurisprudenza”.
Gli avvocati dell’Associazione esprimono enorme soddisfazione per il risultato, evidenziando come la scelta del procedimento d’urgenza abbia impedito anche solo per un istante la lesione di diritti costituzionalmente protetti e come la tutela dei diritti riconosciuti dalla legge Cirinnà, almeno per le unioni costituite sino all’11 febbraio 2017 (data di entrata in vigore dei decreti attuativi), non possa essere frustrata da disposizioni normative che sono state emanate in via retroattiva e in palese violazione di interessi fondamentali sia delle coppie sia dei loro figli. Per le unioni civili successive a quella data, sottolineano, “occorrerà, naturalmente, ripristinare la portata anagrafica del comma 10 della legge Cirinnà nelle opportune sedi giudiziarie, al fine di assicurare – nel preminente interesse anche dei bimbi arcobaleno – il pieno esercizio di quei diritti soggettivi riconosciuti dalla legge, ma maldestramente eliminati dal Governo”.
Copia pdf dell’ordinanza del Tribunale di Lecco
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