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Tribunale di Busto Arsizio: l’ufficiale dello stato civile non può cancellare il doppio cognome scelto dalle parti di un’unione civile

1 Agosto 2017

IL FATTO. Una coppia di Legnano si unisce civilmente nel dicembre del 2016 e sceglie, secondo le previsioni dall’allora vigente “legge Cirinnà”, un cognome comune. In pratica, uno dei due partner aveva aggiunto al proprio cognome quello dell’altro. Alla modifica del cognome originario era seguita la modificazione di tutti i documenti.

Con uno dei famosi “decreti attuativi” (D.lgs. 5/2017) la possibilità di scegliere un cognome comune è venuta meno, sicchè l’ufficiale dello stato civile aveva cancellato il cognome comune ripristinando le originarie risultanze anagrafiche.

La coppia, con gli avvocati di Rete Lenford Stefano Chinotti, Vincenzo Miri e Francesca Rupalti, si è opposta alla cancellazione dell’ufficiale dello stato civile, chiedendo al Tribunale di disapplicare il decreto attuativo per contrasto con il diritto dell’Unione europea.

Il Tribunale di Busto Arsizio, con decreto del 27 luglio 2017, ha accolto le richieste di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford e ha ordinato al Comune di ripristinare il “cognome comune” scelto dalla coppia di Legnano.

I PRECEDENTI. Il caso di Busto Arsizio non è l’unico. Il difetto di coordinamento tra la “legge Cirinnà” e i decreti attuativi ha generato altri casi simili. Quelli di cui Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford ha avuto conoscenza sono stati tutti all’attenzione della magistratura, che per fino ad ora aveva inibito in via d’urgenza la cancellazione del cognome comune, mentre in questo caso è intervenuta successivamente alla cancellazione.

Il Tribunale di Busto Arsizio ha accolto nel merito le tesi della difesa, così come precedentemente avevano fatto il Tribunale di Lecco e il Tribunale di Modena.

LA QUESTIONE. Il Tribunale di Busto Arsizio ha tutelato la nuova identità sociale che la scelta del cognome comune determina. È la Costituzione (anche in forza del diritto di fonte europea) che impone la tutela dell’identità personale: un dovere che ha ogni magistrato senza necessità che intervenga la Corte costituzionale. Per raggiungere tale obiettivo basta disapplicare le norme del decreto attuativo.

“Questa nuova vittoria – dichiara Maria Grazia Sangalli, Presidente di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford – sottolinea una volta ancora la portata simbolica e sociale delle norme a tutela della famiglia. Tutto questo non sarebbe successo se si fosse scelto di aprire in senso egualitario il matrimonio. La scelta di opportunismo politico e la sciatteria del legislatore ricadono sulle spalle dei cittadini che sono costretti a combattere contro lo Stato in Tribunale per vedere tutelati i propri diritti fondamentali”.