Tra dichiarazioni e smentite sulle ulteriori modifiche che l’attuale testo del disegno di legge sulle unioni civili potrebbe subire, oggi (2 settembre 2015) alla ripresa dei lavori della Commissione giustizia del Senato la prima modifica è arrivata. La relatrice Cirinnà la settima scorsa aveva riferito che l’ipotesi sarebbe quella di eliminare il riferimento agli articoli del codice civile relativi al matrimonio sostituendoli con «un elenco di diritti» (Intervento a Radio Popolare, riportato da ANSA, 28 agosto 2015). A suo dire si tratterebbe solo di una modifica «in termini formali» (Intervista a Claudio Capocchi, 29 agosto 2015), ma purtroppo il voto di oggi dimostra che non è così.
Sia la senatrice Cirinnà sia la deputata Campana, responsabile welfare del PD, in diverse sedi si sono appellate alla fiducia delle persone omosessuali, dal momento che «il giorno dopo l’approvazione delle unioni civili il PD dovrà iniziare a discutere una legge sul matrimonio».
È opportuno riflettere sul senso di tali affermazioni dal momento che non è neutra sotto il profilo della tutela della dignità delle persone omosessuali la scelta tra l’istituto, fuori dal calendario della storia, delle unioni civili e il matrimonio. L’entrata in vigore di quella legge sul piano giuridico, politico e culturale sancirà una disuguaglianza sia pur remunerata dalla graziosa concessione di qualche diritto. Se è così non c’è da stare molto sereni o da sentirsi rassicurati dal fatto che dopo l’approvazione delle unioni civili il PD dovrebbe proporre l’estensione del matrimonio alle coppie dello stesso sesso, dal momento che “il giorno dopo” le presunte ragioni che non consentono da subito di riprendere l’iter legislativo sul matrimonio egualitario già avviato al Senato nel 2013 sussisteranno ancora. “Il giorno dopo” sarà impossibile perché nel PD – il problema è tutto lì dentro – non ci sarà una maggioranza disposta a sostenere il matrimonio egualitario come non c’è oggi.
Fa specie sentire sulla bocca di persone che si qualificano di centro-sinistra, argomentazioni contro il matrimonio egualitario tipiche di uomini di destra. E questo pur di mascherare il problema politico a cui ho appena accennato. I più disonesti poi – e non sono pochi – sostengono che l’impossibilità di approvare un progetto di legge sul matrimonio egualitario sia giuridica.
Si citano a sostegno di tale tesi le sentenze della Corte costituzionale (nn. 138/2010 e 170/2014) che impedirebbero l’introduzione del matrimonio per tutti con legge ordinaria. Ma come sostengono i teorici del diritto che più si sono occupati del tema ciò è completamente falso (su tutti G. Brunelli e B. Pezzini, di cui si possono leggere i contributi in sede di audizione al Senato). Specialmente la Corte di cassazione testualmente riconosce al Parlamento la discrezionalità di introdurre il matrimonio ugualitario (ad esempio nell’ordinanza n. 14329/2013 e nella sentenza 2400/2015).
E pure ammettendo per un momento che le cose stiano nei termini paventati dagli oppositori all’estensione del matrimonio in senso egualitario – e non stanno così – occorre rammentare che le sentenze non sono scolpite sulle pietre, come dimostra tra le altre l’esperienza portoghese.
In Portogallo, la Corte costituzionale nel 2009 ha negato che fosse incostituzionale non consentire alla coppie dello stesso sesso di accedere al matrimonio, ma nel 2010 – appena un anno dopo – ha ritenuto perfettamente coerente con la Costituzione la legge ordinaria che lo ha permesso.
La nostra Corte costituzionale, come quella portoghese, è una Corte conservatrice, e sul matrimonio è stata tiratissima rimettendo – finora – la questione alla discrezionalità del Parlamento, senza porre limiti.
Né sembra dirimente un passaggio della sentenza n. 170/2014 (a proposito del divorzio imposto alla persona transessuale) nel quale i giudici della Consulta sembrano imporre al legislatore l’introduzione di un istituto diverso dal matrimonio.
Sfugge ai più che al centro di quella decisione non vi è tanto il diritto al matrimonio, quanto il diritto alla vita familiare. La Carta di Nizza e la giurisprudenza della CEDU (anche la recente sentenza contro l’Italia), lo hanno chiarito da tempo e nella stessa linea si sono posti i giudici costituzionali italiani. È come se avessero detto: se tu Stato hai interesse a conservare il paradigma eterosessuale del matrimonio, noi non riteniamo oggi di poterti imporre di cambiarlo, ma c’è un altro diritto fondamentale che devi garantire a tutti, ossia il diritto alla vita familiare e devi farlo almeno con un istituto che abbia contenuti analoghi al matrimonio.
Le sentenze della Corte costituzionale dunque sono uno specchietto per le allodole. A chi si lamenta oltremodo della loro esistenza, andrebbe ricordato che se non ci fossero oggi saremmo ancora a discutere se le relazioni familiari delle persone lesbiche e gay siano un fatto meramente privato o abbiano una rilevanza sociale.
Ecco perché non ho fiducia nel PD (e più in generale in chi ci pretende di rappresentarci in Parlamento e fuori). Alcuni hanno disprezzato la via giudiziaria gonfiando il petto e menando scandalo per l’obliterazione della supremazia della politica caratterizzante il sistema democratico. Sono proprio costoro che ora dovrebbero fare ammenda visto che la supremazia della politica ancora una volta in questo Paese coincide con la cura degli interessi di parte e non della collettività fino a disconoscere il principio supremo dell’eguaglianza.
La questione attualmente all’attenzione delle aule parlamentari si può sintetizzare così: il legislatore ha il dovere di tutelare i diritti fondamentali (anche) delle persone omosessuali alla vita famigliare e al matrimonio. Quando sono coinvolti i diritti fondamentali dei cittadini, ogni lotta per il potere dovrebbe cedere il passo. Eppure, quanto va ripetendo la senatrice Cirinnà: «Nessuna grande riforma si fa chiudendo la porta in faccia a qualcuno» (Intervento a Radio Popolare, riportato da ANSA, 28 agosto 2015) ha senso solo nel contesto di una lotta per il potere. Occorre ricordare a tutti che sui diritti fondamentali non sono consentiti compromessi, specie se la loro garanzia non nuoce a nessuno.
Il Governo in carica ci ha abituati a una politica muscolare (Jobs Act, legge elettorale, riforma costituzionale ed altro). Tanta irruenza sembrerebbe viepiù essere giustificata in questo caso proprio dalla posta in gioco: ossia l’esigenza di tutelare diritti fondamentali. E invece la mancanza di una cultura del rispetto dei diritti fondamentali rende il partito al Governo improvvisamente afasico. Ma la situazione che in questi giorni è sotto gli occhi di tutti non è solo che il PD ha rinunciato a priori a sostenere il diritto fondamentale al matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Si è giunti a operare compromessi anche sulla regolamentazione del diritto fondamentale alla vita familiare – attraverso le unioni civili appunto – che la Corte costituzionale italiana e la CEDU hanno già riconosciuto come livello di tutela minimo che la Costituzione e la Convenzione europea dei
diritti umani impongono.
Il disegno di legge Cirinnà è già stata modificato in peggio in precedenza e, come dimostra il voto di oggi in commissione, lo si sta continuando a fare. L’ostinazione con cui si è fatta penetrare nel testo l’idea dell’istituto originario e dell’eliminazione di ogni richiamo all’applicazione degli articoli che riguardano il matrimonio non sono modifiche formali, ma sono un grande imbroglio.
Quello che sta sfuggendo a molti è invece l’insistenza con cui si sta cercando di negare che due persone dello stesso sesso e i loro eventuali figli siano considerati una famiglia appigliandosi ad una interpretazione originalista dell’articolo 29 Cost. secondo la quale la famiglia sarebbe solo quella fondata sul matrimonio. Con l’emendamento approvato oggi saremmo “una formazione sociale specifica”: capite l’inganno? Non si dice che le unioni civili sono diverse dal matrimonio, come sanno anche i muri ormai, ma ci dicono che non siamo famiglie!
Deve essere chiaro a tutti che le modifiche apportate e che si vorrebbero ancora apportare, non sono solo ritocchi linguistici. Sul piano politico e culturale sono un marchio indelebile con cui si continuerà in ogni circostanza a indicare le nostre famiglie come qualcosa di diverso e di negativo rispetto alla santità della famiglia eterosessuale. Sul piano pratico poi, l’eventualità di inserire un elenco di diritti e di doveri al posto del richiamo alla disciplina codicistica in materia di matrimonio potrà creare dubbi interpretativi e non è escluso che ci costringerà a tornare in tribunale quando sorgeranno controversie – all’interno della coppia, nei confronti di terzi o dello Stato – sull’estensione e sui limiti della disciplina. Si pensi solo, come è stato già osservato da altri, a come potrebbero riscrivere l’articolo 147 riferito alle unioni civili e l’impatto che questo potrebbe avere sulla stepchild adoption. Per inciso, proprio il PD che ha sempre insistito nel dichiararsi ispirato al modello tedesco, oggi fa finta di dimenticare che le unioni civili tedesche sono inserite nel codice civile e utilizzano proprio lo strumento del richiamo agli articoli relativi al matrimonio.
È uno scenario a tinte molto cupe che potrebbero essere cancellate in un solo colpo: basterebbe riattivare il procedimento legislativo sul matrimonio egualitario trovando su quel testo una convergenza con una maggioranza variabile, così come dovrà fare del resto e del tutto inevitabilmente sulle unioni civili.
Ma se ci si ostina ad approvare un testo di legge che sancisca uno strumento discriminatorio come le unioni civili, almeno si chiarisca il punto sulla eguale dignità sociale della famiglia formata da persone dello stesso sesso e dagli eventuali loro figli – non una formazione sociale specifica – e lascino i richiami agli articoli del codice civile.
La relatrice Cirinnà ha dichiarato che le modifiche «non è detto che siano modifiche a ribasso» (Intervento a Radio Popolare, riportato da ANSA, 28 agosto 2015), ma il voto di oggi dimostra il contrario. Vuole smentirmi, proponga di sostituire il comma 1 dell’articolo 1 con il seguente: «Il vincolo familiare tra due persone dello stesso sesso sorge con la dichiarazione delle parti espressa di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni di voler contrarre un’unione civile». In questo modo, tutelando espressamente il diritto alla vita famigliare – il minimo imposto dalla Costituzione e dalle sentenze delle Alte magistrature prima citate – si potrebbe mettere fine alla becera battaglia ideologica che ci sta affliggendo da mesi.
Non deve esserci alcun dubbio che l’istituto delle unioni civili è rivolto a tutelare nuclei familiari. E proprio perché di effettività di diritti fondamentali stiamo parlando, l’istituto giuridico in considerazione non può essere strutturato in modo da complicare oltremodo la vita familiare delle persone omosessuali e dei loro figli.
Spero che le associazioni LGBTI italiane e i parlamentari già sensibili al tema facciano propria questa proposta e pretendano dal PD e dalla relatrice il suo inserimento nel testo. Non si può continuare a subire che infieriscano sulla nostra dignità, sulle nostre vite e quelle dei nostri figli.
Antonio ROTELLI – Co-fondatore Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford
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