La voce di Rete Lenford in attesa della Corte costituzionale
Il prossimo 27 gennaio la Corte costituzionale si pronuncerà ancora una volta in tema di omogenitorialità, con due sentenze che potrebbero avere ricadute importanti sul futuro delle famiglie omosessuali.
Una prima decisione riguarderà il riconoscimento di figli da parte di coppie di mamme.
Nel 2019, infatti, il Tribunale di Padova ha chiesto alla Consulta di valutare la compatibilità costituzionale degli artt. 8 e 9 della Legge n. 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita (‘PMA’) e dell’art. 250 del codice civile nella parte in cui, anche in caso di impossibilità di procedere all’adozione ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983, non consentirebbero di riconoscere la doppia genitorialità.
La questione sottoposta ai Giudici di Padova riguarda il caso di due donne entrate in crisi dopo una decennale relazione sentimentale, nel corso della quale erano diventate madri di due bambine grazie a un condiviso percorso di procreazione medicalmente assistita condotto all’estero. A seguito della disgregazione della famiglia, avvenuta nel 2018, la madre ‘biologica’ – che aveva partorito in Italia ed era (ed è) l’unica genitrice per lo Stato italiano – iniziò a negare il ruolo genitoriale dell’ex compagna, impedendole di entrare in contatto con le figlie ed opponendosi al riconoscimento anagrafico delle bambine.
Considerato che il procedimento di c.d. stepchild adoption (adozione in casi particolari) non poteva essere nemmeno intrapreso, poiché la madre ‘biologica’ non prestava consenso all’adozione, la madre ’intenzionale’ si rivolse al Tribunale di Padova chiedendo di essere considerata genitrice in applicazione degli artt. 8 e 9 della Legge 40/2004, in forza dei quali i bambini nati a seguito di PMA sono inderogabilmente figli della coppia che ha espresso il consenso alla fecondazione.
Il Tribunale di Padova non ha reputato applicabili le disposizioni della Legge 40/2004 ai figli generati all’estero da due donne, rilevando in particolare che l’art. 5 di quella stessa legge vieta alle coppie same sex l’accesso alle tecniche di PMA. Tuttavia, risultando nel caso concreto preclusa l’adozione, ha rimesso la questione alla Corte costituzionale, in considerazione del vuoto di tutela avvertito con riguardo ai diritti fondamentali delle bambine.
Ebbene, a partire dal 2018 le Corti di merito si sono spesso interrogate sullo status dei bambini nati in Italia a seguito di PMA praticata all’estero da una coppia di donne, nella quale una delle due si sia sottoposta a fecondazione eterologa e abbia portato a termine la gravidanza, divenendo la madre ‘biologica’ del nato, e la compagna abbia prestato il suo consenso al progetto procreativo.
Già da tempo, del resto, il percorso giurisprudenziale sulla genitorialità omosessuale aveva esattamente inquadrato il tema da una angolazione non solo propriamente giuridica, ma anche sociale: al centro dell’analisi, infatti, si erge il superiore interesse dei bambini e delle bambine, in una dimensione relazionale. E così, sempre più spesso la giurisprudenza si è preoccupata di garantire non solo alle coppie omosessuali, ma soprattutto ai figli, la tutela dei diritti della personalità, tutelati anche dall’art 2 della Costituzione: una garanzia volta all’interesse dei bambini e delle bambine, alla stabilità e alla continuità degli affetti, anche dal punto di vista del loro riconoscimento nella società.
In questa direzione, hanno affermato il diritto al riconoscimento immediato del doppio rapporto genitoriale, senza bisogno di ricorrere all’adozione, nell’ordine: la Corte di Appello di Napoli (4.7.2018), i Tribunali di Pistoia (5.7.2018), Bologna (6.7.2018) e Genova (3.12.2018), il Tribunale di Rovereto (12.4.2019), la Corte d’Appello di Firenze (19.4.2019), il Tribunale di Genova (4.6.2019), le Corti d’Appello di Perugia (21.11.2019), di Trento (16.1.2020), di Bari (17.12.2019) e i Tribunali di Rimini (25.1.2020) e di Bergamo (25.3.2020).
Eppure, con le sentenze nn. 7668/2020 del 3.4.2020 e 8029/2020 del 22.4.2020, la Corte di cassazione si è pronunciata in senso contrario, statuendo che il divieto di accesso alla PMA per le coppie omosessuali comporterebbe, per ciò solo, l’impossibilità di riconoscere la doppia genitorialità. Senza affrontare le numerose obiezioni sollevate rispetto a questa ricostruzione, la Corte ha sostanzialmente affidato la protezione dei bambini alla sola stepchild adoption, trascurandone sia i gravi limiti di tutela, sia le conseguenze in caso di eventuale rifiuto dell’adozione da parte della madre biologica.
L’indirizzo promosso dalla Corte di cassazione non ha avuto seguito tra le Corti di merito: la Corte d’Appello di Roma (27.4.2020) e il Tribunale di Cagliari (28.4.2020) hanno subito assunto una posizione dichiaratamente contraria e dissenziente, motivando ampiamente le proprie pronunce e ribadendo il preminente diritto del nato a instaurare legami con entrambe le genitrici.
Due mesi fa, con la sentenza n. 230 del 4.11.2020, anche la Corte costituzionale ha richiamato l’orientamento della Corte di cassazione e ha affermato – in via non vincolante, trattandosi di una pronuncia di inammissibilità – che il divieto di accesso alla PMA per le coppie omosessuali impedisce alla madre ‘intenzionale’ di essere riconosciuta genitrice ai sensi delle disposizioni della Legge 40/2004. Anche tale sentenza, tuttavia, non si è premurata di motivare accuratamente le ragioni per le quali, dal divieto di accesso, scaturirebbe l’impedimento al riconoscimento, limitandosi a prospettarlo e a rinviare alla discrezionalità del legislatore, pur affermando che la Costituzione consente già il riconoscimento dell’omogenitorialità senza dover passare per l’adozione.
Ebbene, anche la sentenza della Corte costituzionale non ha interrotto la serie di decisioni favorevoli al riconoscimento delle due mamme.
Sono, infatti, intervenute le decisioni dei Tribunali di Brescia (decreti dell’11.11.2020) e di Genova (4.11.20202), che hanno ribadito come, secondo la legislazione già vigente, la madre ‘intenzionale’ possa e anzi debba riconoscere il figlio, qualora abbia partecipato al progetto genitoriale all’estero prestando il proprio consenso informato.
Oltre alle Corti di merito, va poi ricordato che anche i Sindaci di diversi Comuni italiani, nella loro qualità di Ufficiali dello stato civile, hanno provveduto e stanno continuando a provvedere al riconoscimento anagrafico delle famiglie omogenitoriali, formando gli atti di nascita con due madri o annotando le dichiarazioni di riconoscimento delle madri ‘intenzionali’.
Dinanzi a questo scenario, il 27 gennaio la Corte costituzionale deciderà sul peculiare caso prospettato dal Tribunale di Padova.
E, come si è anticipato, quel giorno la Consulta dovrà pronunciarsi anche sulla questione di legittimità costituzionale prospettata dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 8325 del 29.4.2020, in tema di gestazione per altri.
Chiamata, infatti, a giudicare in merito alla riconoscibilità di un atto di nascita formato all’estero e recante l’indicazione di due papà, la Prima Sezione della Corte di cassazione ha ravvisato profili di incostituzionalità nell’applicazione del principio di diritto enunciato appena un anno prima dalla Sezioni Unite con la sentenza n. 12193/2019, a mente del quale al rapporto con il genitore d’intenzione che non vanti legami biologici con il nato potrà darsi rilievo solo tramite la stepchild adoption (adozione in casi particolari disciplinata dall’art. 44, co. I, lett. d, l. adoz.), dal momento che “il riconoscimento di un provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione”.
Tra i tanti e condivisibili rilievi svolti nella lunga e dettagliata ordinanza, la Prima Sezione ha osservato che l’applicazione in via generale e aprioristica di questo principio contrasta con gli artt. 2 e 3 della Costituzione: il diniego di riconoscimento del padre d’intenzione sovrappone, infatti, il divieto penalistico della gestazione per altri al diritto dei figli alla pienezza del proprio status, comportando una grave discriminazione dei nati a seconda delle circostanze della nascita e della modalità di gestazione.
Al di là delle scelte che i genitori possono compiere all’estero tramite percorsi non consentiti dalla legge italiana, l’interesse primario da salvaguardare deve rimanere quello del nato al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, elemento costitutivo della sua identità personale protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, anche dagli artt. 2, 30 e 31 della Costituzione , a mente dei quali il nato ha diritto – oltre che di crescere nell’ambito della propria famiglia – anche di avere certezza della propria discendenza, rivelandosi quest’ultima uno degli aspetti in cui si manifesta la sua identità personale e si costruisce l’identità familiare e sociale.
La Prima Sezione, inoltre, ha indagato approfonditamente i limiti della stepchild adoption, che in quanto tale nega al figlio e all’adottante il diritto a una relazione pienamente equiparata alla filiazione: non crea legami parentali con i congiunti dell’adottante; esclude il diritto a succedere nei loro confronti; non corrisponde al requisito della tempestività imposto dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo per il riconoscimento dei rapporti filiali; è soggetta alla volontà del genitore intenzionale di richiederla, lasciando così aperta la possibilità di sottrarsi all’assunzione di responsabilità già manifestata e legittimata nel Paese in cui il bambino è nato; resta sempre assoggettata all’assenso da parte del genitore biologico, che potrebbe venir meno in caso di crisi familiare, ma anche di sopravvenuto decesso.
In entrambi i giudizi che saranno decisi il 27 gennaio, Rete Lenford ha depositato “Opinioni scritte” a titolo di amicus curiae, già ammesse dalla Corte costituzionale. Da un lato, auspicando che la Consulta entri approfonditamente nel merito della questione sollevata dal Tribunale di Padova e prenda in più meditata considerazione le ampie motivazioni emerse nel dibattito sviluppatosi in seno alle Corti di merito. Dall’altro lato, ribadendo che, dalle riflessioni intorno all’attuale divieto di gestazione per altri, devono restare ben distinte le questioni, squisitamente giuridiche, connesse al riconoscimento in Italia di una responsabilità genitoriale già sussistente all’estero: con la sentenza 272/2017, del resto, la Corte costituzionale ha già escluso che la contrarietà dell’ordinamento italiano alla gestazione per altri faccia venir meno, automaticamente, il potere-dovere del Giudice di valutare, caso per caso, il migliore interesse del bambino a mantenere il proprio status acquisito con un atto di nascita straniero, anche nei confronti del genitore che non vanti alcun legame biologico (analogamente a quanto accade, peraltro, in caso di PMA eterologa, ‘semplice’ o addirittura ‘doppia’, in caso di impiego di gameti entrambi esterni alla coppia).
Coltivando questi auspici e adempiendo al suo statuto, nei prossimi giorni Rete Lenford contribuirà alla discussione attraverso tre interventi di riflessione, ponendo l’accento sulla necessità di tutelare sia il diritto degli individui ad autodeterminarsi nelle scelte riproduttive, sia quello dei figli e delle figlie a veder riconosciuto, in modo pieno e non discrezionale, il rapporto con chi li ha voluti al mondo e la loro identità personale.
Perché la Costituzione, come ci ha insegnato proprio la Consulta con la sentenza n. 494 del 2002, non può mai giustificare “una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti”.
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