La legge Cirinnà per la prima volta di fronte alla Corte costituzionale

La questione del “cognome comune”, assunto dalle parti unitesi civilmente fra la data di emanazione della legge e quella dei decreti di attuazione, è stata portata dinanzi alla Corte costituzionale dal Tribunale di Ravenna.

Come si ricorderà, il decreto attuativo n. 5/2017 della Legge sulle Unioni Civili (n. 76/2016, Legge c.d. Cirinnà), ha stabilito una regola sui cognomi degli uniti civilmente che sembra non rispettare il testo della legge e ha previsto che il “cognome comune”, assunto dalle parti prima dell’entrata in vigore del decreto di attuazione, dovesse essere cancellato dall’Anagrafe.

Si tratta della prima questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto un decreto attuativo della L. n. 76/2016. La decisione è stata presa in un procedimento promosso da Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, seguito dai soci avvocati Stefano Chinotti e Vincenzo Miri e dall’avvocata Claudia Calò di Ravenna.

Il caso riguarda una coppia di uomini che, nel giugno 2016, aveva costituito un’unione civile, scegliendo un “cognome comune” ai sensi del comma 10 della Legge n. 76/2016. Il cognome comune era stato annotato sull’atto di nascita delle parti e di conseguenza il nuovo cognome era stato riportato sui nuovi documenti, incluso il codice fiscale, come previsto anche dal ‘decreto ponte’ che ha assicurato l’applicazione della legge in materia di unioni civile fino all’adozione dei definitivi decreti legislativi.

Proprio in uno di questi decreti legislativi, il n. 5/2017, il Governo ha compiuto una scelta diversa, riducendo il cognome comune a mero “cognome d’uso”, senza rilevanza a livello di stato civile, svuotando di significato quanto invece previsto dalla legge 76/2016. Tutto ciò ha comportato la cancellazione del “cognome comune” dagli atti di stato civile e dai documenti di chi, nel frattempo, lo aveva assunto.

Lo scopo del Governo, apparentemente, era quello di uniformare la regola sui cognomi nelle unioni civili a quella vigente in caso di matrimonio, pur non avendo un specifica delega in questo senso. In concreto, però, la cancellazione, oltre ad intervenire arbitrariamente sul diritto al nome, impedisce la trasmissione del cognome comune agli eventuali figli delle coppie unite civilmente.

Non si tratta di un caso isolato. Già altri tre tribunali avevano accolto i ricorsi presentati da Avvocatura per i diritti LGBTI garantendo una immediata tutela del “cognome comune” attraverso l’ordine di disapplicazione del decreto legislativo. Ora, con la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, i giudici delle leggi sono chiamati a svolgere un “valutazione della compatibilità della norma con i principi costituzionali e gli obblighi comunitari”.

“Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford – dichiara la Presidente Avv. Maria Grazia Sangalli – ribadisce il proprio impegno a garantire, sul terreno giudiziario, la corretta attuazione della legge Cirinnà. La tutela del diritto fondamentale al nome delle persone che si uniscono civilmente e dei loro figli merita la massima attenzione. Si tratta di tutelare il diritto all’identità personale delle coppie che in base a una norma di legge hanno scelto come farsi identificare nel contesto sociale in cui svolgono la loro personalità. Non c’è alcuna motivazione giuridicamente sostenibile che possa giustificare una intromissione arbitraria del Governo nella vita familiare delle persone”.

In un contesto giuridico in cui ancora è negata la piena parità di diritti tra le coppie dello stesso sesso e i loro figli, la tutela del cognome, acquisito e utilizzato, assume un significato ancor più rilevante; il nome rappresenta, infatti, un elemento costitutivo fondamentale dell’identità personale dell’individuo, e diviene segno distintivo per il riconoscimento sociale della vita privata e familiare di ciascuno. Per questo, secondo Rete Lenford, la scelta del Governo è meritevole di essere sindacata in sede giudiziale e consentirà alla Corte Costituzionale di esprimersi su una delle ambiguità presenti nella legge Cirinnà.

Rete Lenford in questi anni ha patrocinato numerose cause per dare effettività ai principi costituzionali di uguaglianza e di pari dignità sociale delle persone lesbiche, gay, bisessuali, trans, intersex e delle loro famiglie.

Il 1° dicembre a Firenze, per celebrare i dieci anni di attività associativa, si terrà un importante convegno nel corso del quale saranno messi in evidenza i risultati conseguiti grazie all’attività dell’Associazione, ma soprattutto si riflettera sulle battaglie civili e giudiziarie ancora da condurre per il raggiungimento di una reale parità delle persone LGBTI in tutti gli ambiti della vita (www.eventiretelenford.it).

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