Esposto alla Procura di Udine a seguito della cancellazione del matrimonio same-sex trascritto

30.ottobre 2014.Questa mattina Rete Lenford ha depositato un esposto alla Procura di Udine chiedendo di verificare se la cancellazione, avvenuta ieri mattina, del matrimonio trascritto dal comune di Udine possa integrare gli estremi di alcuni reati commessi da chi direttamente o indirettamente ha agito.

 

L’esposto, che riportiamo qui sotto, è stato fatto innanzitutto nell’interesse della legge e a garanzia dello stato di diritto, essendo convinti che la cancellazione di un atto dello stato civile può avvenire solo a seguito di provvedimento giudiziario e non ad opera di una autorità amministrativa. Le ipotesi di reato su cui l’esposto chiede alla Procura di verificare sono la falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici,usurpazone di funzioni pubbliche e, in via subordinata, l’abuso d’ufficio.

L’associazione, gli avvocati e le avvocate della Rete stanno facendo questo lavoro gratuitamente. Sono molti i comuni italiani che hanno trascritti e tanti i fronti giudiziari che si possono aprire e alcuni si sono già aperti (Fano ad esempio, dove questa mattina Rete Lenford e l’avvocata Isotti depositeranno il reclamo alla Corte di appello di Ancona contro il decreto del Tribunale di Pesaro; oppure a Roma e negli altri comuni, dove abbiamo diffidato i prefetti dal procedere a cancellare le trascrizioni; oppure a Grosseto e a Milano, dove già nei mesi scorsi Rete lenford è intervenuta nei giudizi pendenti). Molte coppie non hanno le risorse per sostenere le varie azioni giudiziarie da intraprendere (ricorsi al Tar o ai Tribunali) e Rete Lenford e i suoi avvocati non sono in grado di continuare questo lavoro senza risorse economiche. Chiediamo di sostenerci con delle donazioni. Abbiamo bisogno di fare fund raising e il vostro sostegno, quello di tutte e tutti, è indispensabile per una causa comune. Le donazioni fatte con bonifico bancario possono essere detratte o dedotte dalla dichiarazione dei redditi. Questo è l’IBAN di Avvocatura per i Diritti LGBTI: IT 63 J 02008 11102 000103570496. Per donazioni attraverso altre modalità scrivete a info@retelenford.it
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine
ESPOSTO
La sottoscritta Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford (doc. 1), p. iva n. , con sede in Bergamo, via Matris Domini n. 25, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore avv. Antonio Rotelli, nato a xxxxxxxx, il xxxxxxx, residente a xxxxxxx, con studio in xxxxxx, assistita ai fini del presente esposto dagli avvocati Luca Morassutto del Foro di Ferrara e Marco Florit, del Foro di Udine, porta a conoscenza questo Ill.mo Procuratore della Repubblica di quanto segue:
– in data 2 ottobre 2014 il Sindaco di Udine, dava comunicazione agli organi di stampa (doc. 3) che in data 30 settembre 2014 era stata disposta la trascrizione nel registro degli atti di matrimonio, xxxxxxx, dell’atto di matrimonio celebrato (all’estero), contratto da xxxxxxx e xxxxxx;
– in data 7 ottobre 2014 il Ministero dell’Interno procedeva ad emettere circolare n. 40^/ba-/DAIT, a firma del Ministro in (doc. 4),  indirizzata ai Prefetti della Repubblica, al Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano, al Commissario del Governo per la Provincia di Trento e per conoscenza al Presidente della Giunta Regionale della Val d’Aosta, avente ad oggetto: “trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero” con la quale si afferma che “spetta al Prefetto, ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. 396/2000, la vigilanza sugli uffici dello stato civile, si richiama l’attenzione delle SS.LL. sull’esigenza di garantire che la fondamentale funzione di stato civile, esercitata, in ambito territoriale, dal Sindaco nella veste di ufficiale di Governo, sia svolta in piena coerenza con le norme attualmente vigenti che regolano la materia.” Con detta circolare quindi il ministro invitava “ove risultino adottate direttive sindacali in materia di trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero – e nel caso sia stata dato loro esecuzione – le SS.LL. rivolgeranno ai Sindaci formale invito al ritiro di tali disposizione ed alla cancellazione, ove effettuate, delle conseguenti trascrizioni, contestualmente avvertendo che, in caso di inerzia, si procederà al successivo annullamento d’ufficio degli atti illegittimamente adottati, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 nonies della legge 241 del 1990 e 54 commi 3 e 11 del d.lgs 267/2001”;
– in data 9 ottobre si apprendeva quindi dagli organi di stampa (doc. 4) che “la Prefettura di Udine, tramite una lettera inviata oggi al Comune, ha rivolto invito formale all’amministrazione a procedere alla cancellazione della trascrizione nei registri di stato civile, del matrimonio contratto all’estero da xxxxx e xxxxx, sposatesi in xxxxx e attualmente residenti in xxxx”. A seguito di tale disposizione il Sindaco di Udine in carica, rilasciava un comunicato stampa in cui affermava “andremo avanti sul percorso intrapreso. Non è nostra intenzione, sulla base di una circolare del ministro, di azzerare le considerazioni etiche e giuridiche che sono alla base della scelta fatta. Porteremo un tema così importante davanti a un tribunale” (doc. 5).
– con lettera inviata a mezzo posta certificata (doc. 6) l’esponente informava le Prefetture e i Sindaci coinvolti sul territorio nazionale nelle trascrizioni di matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero, e tra i Sindaci in indirizzo altresì il Sindaco di Udine e il prefetto di Udine, dell’assoluta inesistenza di un potere di procedere all’annullamento delle trascrizioni tanto in capo agli Ufficiali di stato civile, quanto, in via gerarchica, in capo al Prefetto. Veniva altresì evidenziato – così sgombrando il campo da ogni possibile fraintendimento di sorta – che “qualsiasi atto in tal senso costituirebbe non solo un palese abuso di potere ma anche una clamorosa invasione della sfera del potere giurisdizionale”. Tale comunicazione veniva altresì inviata a mezzo pec alla Prefettura di Bologna, al Ministero dell’Interno, al Sindaco di Bologna, al Ministero della Giustizia, alla Prefettura di Roma, al Presidente della Repubblica, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Tribunale di Roma, al Consiglio superiore della magistratura;
– in data 27 ottobre 2014 la Prefettura di Udine, a firma del Prefetto in carica, trasmetteva al Sindaco del Comune di Udine il decreto con il quale disponeva l’annullamento d’ufficio della trascrizione de quo ordinando al Sindaco del Comune di Udine di dare tempestiva esecuzione al provvedimento, procedendo quindi agli adempimenti materiali conseguenti lo stesso, con l’annotazione, a margine della trascrizione effettuata, del provvedimento prefettizio di annullamento e dando assicurazione dell’avvenuto espletamento di dette operazio
ni;
– in data 29 ottobre 2014 il Prefetto di Udine, rilevato che non si era avuta assicurazione da parte del Sindaco di Udine circa l’avvenuta esecuzione del provvedimento di annullamento, sostituendosi nelle funzioni giurisdizionali che la legge prevede uniche titolari del potere di intervento sui registri di stato civile, delegava il viceprefetto aggiunto, previa verifica della mancata esecuzione dell’ordine impartito al Sindaco di Udine a procedere agli adempimenti materiali conseguenti all’annullamento suindicato, con l’annotazione del provvedimento prefettizio di annullamento a margine della trascrizione effettuata nel registro degli atti di matrimonio;
– in data 29 ottobre 2014, veniva quindi redatto processo verbale con il quale il viceprefetto, in forza del provvedimento di delega sopra citato, presente l’ufficiale dello stato civile delegato dal Sindaco di Udine, verificata la mancata esecuzione del provvedimento prefettizio, provvedeva ad effettuare a margine della trascrizione de qua, l’annotazione del provvedimento prefettizio di annullamento d’ufficio.
Tutto quanto sopra premesso si rileva quanto segue
– Circa l’asserito potere di intervento sui registri: Il richiamato provvedimento prefettizio con cui si dispone l’annullamento, con annotazione a margine, della trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra xxxxxx e xxxxxx, e che richiama la circolare ministeriale di cui al doc. 4, si fonda sulla asserita applicabilità dell’art. 21-nonies della l. 241/90. Si tratta ad avviso dell’esponente di una tesi assolutamente errata e priva di fondamento giuridico. L’articolo richiamato fa espresso riferimento al “provvedimento amministrativo” mentre è dato acclarato che le trascrizioni nel registro dei matrimoni non sono provvedimenti amministrativi bensì atti pubblici con effetto dichiarativo e di certificazione, in quanto la trascrizione del matrimonio non ha “natura costitutiva ma meramente certificativa e di pubblicità”. Sarebbe bastato in tal senso rifarsi sia ai principi generali vigenti in dottrina (cfr In dottrina, ex plurimis, B. Meoli, Della registrazione relativa agli atti di matrimonio, in P. Stanzione (cur.), Il nuovo ordinamento dello stato civile, Giuffrè 2001, pag. 257; N. A. Cimmino, Art. 450, in P. Cendon (cur.) Commentario al codice civile, Giuffrè 2009, vol. IV, pag. 1354; I. Cevasco, art. 450, in G. Alpa e V. Mariconda (cur.), Commentario al codice civile, Wolter Kluwers 2013, Tomo I, pag. 1511) quanto alla pacifica giurisprudenza di Cassazione (si veda da ultimo Cass. 18 luglio 2013, n. 17620 e Cass. sent. 15 marzo 2012, n. 4184).
Ben più grave, nonostante la nota ricevuta dall’esponente e di cui al doc. 6, è aver deliberatamente ignorato il preciso e chiaro riferimento al termine di legge vigente. La disciplina dello stato civile portata dal codice civile e dal D.P.R. 396/2000 è chiara in proposito. Essa rimette in via esclusiva al Tribunale, su impulso del Pubblico Ministero, qualsiasi decisione circa l’eventuale cancellazione di un atto che si ritenga indebitamente registrato. Ciò è disposto molto chiaramente dall’art. 95 del D.P.R. 396/2000 in materia di ricorso contro le suddette trascrizioni: “Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile  o  la  ricostituzione  di  un  atto distrutto o smarrito o la formazione   di  un  atto  omesso  o  la  cancellazione  di  un  atto indebitamente   registrato,   o   intende   opporsi   a   un  rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento,  deve  proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si  trova  l’ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l’atto  di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l’adempimento”, e dall’art. 69, comma 1 lettere (e) ed (i), del medesimo testo, ove – fra gli atti di cui è possibile fare annotazione nel registro degli atti di matrimonio – sono indicate solo le “sentenze con le quali si pronuncia l’annullamento della trascrizione dell’atto di matrimonio” ed i “provvedimenti di rettificazione” ma non altri atti con il medesimo effetto.
La rettificazione di cui sopra è pacificamente quella indicata nella rubrica del Titolo IX del D.P.R. 396/2000 e nel testo dell’art. 95 del medesimo Regolamento. A fugare ogni dubbio soccorre il D.M. 5 aprile 2002 (recante Approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile), il quale nel prescrivere le formule tassative di annotazione (tali secondo gli artt. 11, comma 3, e 12, comma 1, del D.P.R. 396/2000) così recita all’Allegato A con la formula n. 190, unica dedicata alla rettificazione: “Annotazione di provvedimento di rettificazione (artt. 49, 69 e 81 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). // Con provvedimento del Tribunale di … n. … in data … l’atto di cui sopra è stato così rettificato: (inserire specificamente le rettificazioni così come sono state disposte) …”.
Non compare cioè in alcun modo un potere costituito in capo al Ministro, al Prefetto o a qualsiasi altro ufficiale di stato civile di intervenire sopra i registri, manomettendone quindi la autenticità.
Ulteriore fonte normativa che chiaramente dispone in materia è rinvenibile all’art. 100 del D.P.R. 396/2000, per il quale “I tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia, ed a provvedere per la cancellazione di quelli indebitamente trascritti […]”. L’iter formativo stesso dell’atto civile, ex lege tassativamente indicato (art. 12 comma 6 D.P.R. 396/2000), afferma che gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell’ufficiale dello stato civile competente e successivamente non possono subire variazioni. Le annotazioni, ai sensi dell’art. 453 c.c., possono essere conseguentemente disposte unicamente per legge od ordinate dall’autorità giudiziaria (che si è vista di contro sottrarre il compito di pronunciarsi in materia). La stessa annotazione operata dagli organi prefettizi viola la disposizione di legge in quanto l’art.11 comma 3, 12 comma 1, e 102 del D.P.R. 396/2000 affermano chiaramente che le annotazioni hanno un regime tassativo (si veda in proposito altresì Cass. ord. 6 giugno 2013, n. 14329).
– circa il potere conferito all’ufficiale di stato civile in relazione ai registri: in maniera assolutamente cristallina l’art. 5 comma 1 lett. A) e l’art. 98 del richiamato D.P.R. 396/2000 affermano che l’ufficiale di stato civile ha solo il potere di aggiornare i registri e di correggere gli errori materiali (art. 98 del D.P.R. 396/2000). Non altro potere. E’ il D.P.R. 396/2000 a dettare la corretta procedura di intervento in materia attribuendone la potestà all’autorità giudiziaria. Ne è testimone l’art. 59 comma 1 del medesimo D.P.R., il quale (in fattispecie assimilabile) prevede che l’ufficiale di stato civile deve immediatamente informare il procuratore della Repubblica. Quello che certamente non viene conferito in alcun modo dalla legge al Prefetto è il potere di invalidare i registri attraverso un i
ntervento ex post non autorizzato dalla autorità giudiziaria ordinaria. E’ paradossale tra l’altro che la corretta prassi operativa sopra descritta non fosse a conoscenza dell’Ufficio prefettizio procedente in quanto nel Massimario per l’ufficiale di stato civile del Ministero dell’Interno (consultabile all’indirizzo: http://servizidemografici.interno.it/sites/ default/files/Massimario-Ufficiale-Stato-Civile_2012_0.pdf), compare al par. 15.1.1 a pag. 166,: “Cancellazione di un atto. Quando si voglia procedere alla “cancellazione di un atto indebitamente registrato” negli archivi dello stato civile, considerato che non può esserne effettuata la materiale cancellazione, la legge prescrive che si faccia ricorso a iniziativa del pubblico ministero (eventualmente su segnalazione dello stesso ufficiale di stato civile) alla procedura di rettificazione di cui agli artt. 95 e 96 del DPR 396/2000 rimettendo la competenza a decidere esclusivamente all’autorità giudiziaria. Il relativo decreto deve essere opportunamente annotato sui registri dello stato civile”. Non appare appiglio creativo di sorta in capo agli organi ministeriali neppure dalla dottrina in materia la quale è unanime nell’affermare che detta competenza è unicamente in capo all’autorità giudiziaria (valga in tal senso citare: Ex plurimis, D. Angelozzi, Stato civile, in M. Sesta (cur.) Codice della famiglia, Giuffrè 2009, Tomo II, pag. 4072; S. Arena, Quesitario massimario di stato civile, Sepel 2009, passim; A. Zaccaria, M. Faccioli, R. Omodei Salè, M. Tescaro, Commentario all’Ordinamento dello stato civile, Maggioli 2013, pag. 418; D. Berloco e R. Calvigioni, Manuale pratico per l’Ufficiale di stato civile, Maggioli 2012, pag. 28; A. Quarta, Esame dell’art. 12, in A. Quarta e L. Olivieri, Lo stato civile, Giuffrè 2001, pag. 94.).
Da tali osservazioni discende la richiesta formulata dall’esponente di accertare se in capo agli Uffici procedenti ad opera dei pubblici ufficiali intervenuti o per opera di terzi da identificare si siano poste in essere condotte penalmente rilevanti. Nello specifico si chiede a questo Ill.mo P.M. di voler verificare oltre a tutte le ipotesi di reato che si intenderanno eventualmente ravvisare, la possibile commissione del reato sub art.:
– 476 c.p. con l’aggravante di cui al secondo comma: nel caso di specie infatti il pubblico ufficiale che ha proceduto alla materiale modificazione dell’atto ha operato alterando la realtà fattuale ivi indicata. La formazione dell’atto, per disposto legislativo ex art. 12 comma 6 D.P.R. 396/2001, prevede che “Gli atti  dello  stato  civile  sono  chiusi  con  la   firma dell’ufficiale dello stato civile  competente. Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni”. Come richiamato, unicamente un intervento da parte della autorità giudiziaria può disporre in materia (valga in tal senso citare il decreto del Tribunale di Pesaro depositato in dato 21 ottobre 2014 recante cronologico 13064 il quale dispone in relazione al ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro avverso le trascrizioni relative ad un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero. Il Procuratore della Repubblica per l’appunto e non un soggetto terzo non ricompreso nel dettato normativo). Nel caso che ci riguarda l’autorità prefettizia così operando ha negato la certezza del diritto, sottraendo alla autorità giudiziaria, e di converso alla collettività tutta, la possibilità di intervenire in una materia che tra l’altro riguarda diritti soggettivi incomprimibili. Orbene, la trascrizione operata a Udine del matrimonio contratto all’estero da due persone dello stesso sesso, era, de facto, un atto regolarmente e definitivamente formato. A nulla vale che si invochi una necessità di intervento della Prefettura per evitare il prodursi di ulteriori (ma quali?) effetti pregiudizievoli per l’unitarietà dell’ordinamento giuridico (vds doc. 10) in quanto l’atto di imperio con cui si è agito non può ascriversi nel potere di autotutela, quivi ex lege negato, tanto che “Le modifiche o le aggiunte all’atto, dopo che è stato regolarmente e definitivamente formato, integrano un falso punibile anche quando il soggetto abbia agito per stabilire la verità effettuale del documento” (Cass. Pen. Sez. V 23327/04). Infatti, l’alterazione compiuta nel senso della verità (oggi evidentemente autodeterminata da un rappresentante dell’esecutivo e non da un organo terzo ed imparziale) determina pur sempre una modificazione della verità documentale in quanto, per effetto dell’aggiunta postuma, l’atto viene a rappresentare e documentare fatti diversi da quelli che rappresentava e documentava nel suo tenore originario.
Al di là dell’ipotesi di correzione di meri errori materiali, rileva quindi “la soppressione di una dichiarazione contenuta in un documento, la sostituzione di una diversa dichiarazione a quella preesistente, l’aggiunta di una nuova dichiarazione anche se conforme a verità” (Cass. Pen. Sez. V 7990/81).
A nulla valga la tesi per cui la trascrizione del matrimonio same sex appare essere nulla. La legge penale infatti tutela il documento non per il suo contenuto, quanto per la sua attitudine probatoria. Ecco quindi che l’eventuale invalidità del rapporto giuridico rappresentato nell’atto non escluderebbe comunque in alcun modo il delitto di falso previsto sub art. 476 c.p.
Perché il documento sia insuscettibile di protezione penale bisogna trovarsi nella condizione che questo sia privo dei requisiti formali essenziali richiesti dalla legge per il raggiungimento del suo scopo e non che l’atto al momento della falsificazione possa ritenersi valido o meno per istituire o provare un rapporto. In altre parole va operata la differenza tra invalidità dell’atto e sua inesistenza. Quest’ultima impedisce qualsiasi riconoscibilità dell’atto mentre la nullità o annullabilità di contro, per carenza di un requisito, non escludono l’affidamento della pubblica fede. La norma cioè non tutela l’atto per la sua validità intrinseca, ma per la sua funzione attestativa che è propriamente quella della annotazione nel registro di stato civile. E che di inesistenza non si possa parlare lo si ricava altresì da Cass. Civ. 4184/2012 e da CEDU, Schalk e Kopf v. Austria, 2010, Cedu.
Altrettanto inconferente appare la possibile obiezione per la quale l’ufficiale procedente, non avendo precipua funzione di attestazione, non poteva compiere il reato de quo per carenza della condotta richiesta ex lege. E’ acclarato infatti come “compie il reato sub 476 e non quello sub 482-476 c.p., il pubblico ufficiale che forma in tutto o in parte un atto falso o altera un atto vero, avendo funzioni di direzione e controllo nei confronti di chi ha l’incarico di formarlo” (Cass. Pen. Sez. V 5775/98). Qualora di contro, si dovesse ritenere non sussistente il vincolo funzionale tra la qualifica soggettiva del soggetto attivo di reato (pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, ove tale esercizio è rapportato all’iter formativo dell’atto) e la condotta ex lege richiesta, si chiede di valutare altresì l’eventuale ipotizzabilità del reato di cui all’art. 482 in combinato disposto con l’art. 476 c.p.
Circa poi l’elemento soggettivo richiesto dal reato de quo, esso, pur non essendo rilevabile in re ipsa, appare comunque evidente s
tante la nota inviata tramite pec dall’esponente con la quale si invitava la Prefettura di Udine a desistere da quello che appariva essere un atto illecito. L’immutatio veri, nel caso di specie, appare evidente (vieppiù avendola espressamente richiamata nella nota in quanto l’azione di modificazione del registro esorbitava dai compiti dell’Ufficio prefettizio), in quanto manca la corrispondenza tra l’effettivo iter di formazione dell’atto e l’aspetto che ad oggi ci viene offerto di quell’atto. “La coscienza e volontà di operare un tale intervento non può non equivalere – afferma la Cassazione – al realizzare una diretta, effettiva e riconoscibile lesione del bene giuridico protetto dalla norma (la pubblica fede) a nulla rilevando che, per mero errore di diritto circa la effettiva portata della norma medesima, di detta lesione il soggetto possa non avere piena consapevolezza” (Cass. Pen. Sez. V 29 maggio 2013 n. 37314). Va altresì ricordato come ci si trovi innanzi ad un atto che ai sensi e per gli effetti dell’art. 451 c. 1 e 3 è fidefaciente. Pertanto si integra l’ipotesi sub art. 476 comma 2 c.p.;
– 347 c.p.: come affermato il potere di intervenire per modificare le trascrizioni operate sui registri di stato civile, fuori dai casi di errore materiale, verte unicamente in capo all’autorità giudiziaria ordinaria. Appare quindi soggetto attivo di reato chi, pubblico ufficiale o meno, si arroghi una funzione che non gli spetta. Il richiamato operare al fine di garantire uniformità, coerenza e unitarietà a livello nazionale dell’esercizio della fondamentale funzione di stato civile, avviene in contrasto con il fine proprio dell’atto di trascrizione e con le meccaniche di intervento ex lege stabilite. Tale reato, come noto, avviene attraverso un indebito esercizio di funzioni pubbliche in assenza di una legittima investitura (Cass. Pen. Sez. VI 18 ottobre 2012 n. 4159 e conforme 31427/2012). La legge in alcun modo, infatti, incarica il Prefetto di poter agire direttamente sui registri modificandone – a questo punto arbitrariamente – il contenuto. Proprio dall’assenza di un potere in capo all’Ufficiale di stato civile o dall’assenza di un potere sostitutivo in capo al Prefetto (mera invenzione giacché non v’è nulla che possa o debba essere sostituito), a cui consegue poi una condotta come quella verificatasi presso il Comune di Udine, ove si ha una alterazione dell’atto precedentemente regolarmente formato, discende, come diretto corollario, il completo stravolgimento del sistema di rettificazione degli atti dello stato civile. Si pone così in capo agli uffici di stato civile il potere e quindi l’obbligo di procedere d’ufficio ed in autonomina alle suddette rettificazioni senza l’intervento del Tribunale. Questo sì, di contro, rappresenta un evidente contrasto con i fini propri della pubblica amministrazione e le garanzie poste a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Secondo Cass. Pen. Sez VI n. 9331/2002, le cui risultanze quivi si condividono, “Commette il reato di cui all’art. 347 cod. pen., chiunque si arroghi funzioni che non gli competono anche se abbia la veste di pubblico ufficiale e appartenga all’ente che ha la competenza a decidere in materia” (richiamata Cass., sez. VI, u.p. 17 giugno 1974, , rv. 128699), ben potendo essere posta in essere la condotta dal pubblico ufficiale ai fini di cui al primo comma dell’art. 347 c.p., le cui fondamenta giuridiche sono unanimemente individuate nell’esigenza del normale andamento e buon funzionamento della pubblica amministrazione, i quali possono correttamente dispiegarsi solo attraverso lo svolgimento delle attribuzioni proprie di ciascuna componente della amministrazione pubblica.
– 323 c.p.: qualora non si ipotizzi di ravvisare i reati di cui all’art. 476 c.p. e 347 c.p. (in concorso tra loro o unitariamente considerati) chiedesi di valutare l’eventuale sussistenza del reato di cui all’art. 323 c.p. Appare, infatti, quivi potenzialmente leso il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione (così come esplicitato dall’art. 97 Cost.). La norma punisce quello che è l’attentato a tali beni secondo lo schema dell’abuso funzionale che si evidenzia come tale sul piano oggettivo. La norma prescinde infatti dall’inquadramento dell’atto in possibili vizi amministrativi ma va ricollegato alla deviazione di esso dalla causa tipica o da altro elemento essenziale previsto dal legislatore. In tal senso l’oggetto, la forma, qualora richiesta ad substantiam, financo i motivi, se rilevanti per la tipicizzazione dell’atto, assumono rilevanza. E come abbiamo detto più volte ci troviamo innanzi ad un atto tipico tassativamente normato. La norma, nella sua configurazione in relazione all’elemento oggettivo, prevede che il funzionario realizzi la condotta illecita agendo nella sua veste di pubblico ufficiale operando quella che la dottrina dominante configura come “doppia ingiustizia”, in quanto la condotta viene a connotarsi per la violazione di legge e per l’ingiusto danno recato alle posizioni soggettive delle signore il cui atto di matrimonio è stato trascritto (cfr. Cass. Pen. N. 36020/11).
Il reato, come è noto, si configura unicamente in presenza di una violazione di legge o di regolamento. Devono perciò avverarsi delle formali violazioni di norme legislative o regolamentari. Nel caso che ci riguarda appare violata la norma di legge sub art. 95 D.P.R. 396/2000, la quale attribuisce unicamente in capo alla autorità giudiziaria un potere di intervento. Giovi di contro altresì ricordare come, ai fini della configurabilità del reato de quo, sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta sia svolta in contrasto con norme che regolano l’esercizio del potere, ma altresì quando tale violazione sia orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere. In questo caso il potere non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l’attribuzione (Sez. Un. 155/12).
Va altresì considerato che nel caso di specie ci si trova innanzi all’esecuzione di un ordine del superiore gerarchico in forza del quale appare pertanto conferente il richiamo al disposto di cui all’art. 51 c.p. comma 2, in quanto l’insindacabilità dell’ordine del superiore va intesa con il limite razionale dell’inefficacia vincolativa di un ordine che abbia ad oggetto il compimento di un atto palesemente delittuoso secondo un generale apprezzamento (Cass. Pen. Sez. V n. 9424/83 nel caso specifico di registrazione di un atto pubblico di una attestazione manifestamente non veritiera).
Tutto quanto sopra premesso l’esponente chiede alla S.V. Ill.ma di voler verificare l’eventuale commissione di condotte penalmente rilevanti nel caso de quo e la loro riconducibilità a soggetti da identificarsi e conseguentemente procedere nei loro confronti.
Chiede di essere avvisata ex art. 406 c.p.p. in caso di richiesta di proroga delle indagini preliminari ed ex art. 408 c.p.p. in caso di richiesta di archiviazione. Nomina propri legali ai fini del presente esposto l’avvocato Luca Morassutto del foro di Ferrara e l’avvocato Marco Florit del Foro di Udine, eleggendo domicilio presso lo studio di quest’ultimo in via Gorghi, n. 15, in Udine.
Con osservanza,
Udine, lì 30 ottobre 2014
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