È attesa per oggi la decisione della Corte costituzionale chiamata ad esprimersi in merito alla legittimità costituzionale delle norme che escludono l’adozione per le coppie omosessuali sposate all’estero.
L’Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford si è costituita in giudizio a sostegno delle ragioni della coppia.
Il caso riguarda due donne, unite in una civil partnership in U.S.A. nel 2008 e sposate dal 2013.
Una di esse, avente doppia cittadinanza, italiana e statunitense, ha avanzato presso il Tribunale per i minorenni di Bologna, richiesta di riconoscimento della sentenza USA che ha disposto l’adozione piena della figlia biologica di sua moglie.
Il Tribunale bolognese ha escluso anzitutto che il riconoscimento in Italia dell’adozione contrasti con le norme di ordine pubblico internazionale ed ha ritenuto che «la coppia formata da persone dello stesso sesso è, comunque, da considerare come “famiglia”», come espresso nelle sentenze Schalk e Kopf c. Austria e X e altro c. Austria della Corte europea dei diritti Umani.
Tuttavia, a parere del Tribunale, rimarrebbe di ostacolo alla pronuncia del riconoscimento dell’adozione piena (fino al 2012 chiamata anche legittimante), il fatto che in Italia l’art. 6 della legge sulle adozioni la consenta ai soli «coniugi uniti in matrimonio» e che l’art. 44 lett. B consenta invece l’adozione non legittimante (cioè un adozione che dà meno garanzie al minore non riconoscendo, ad esempio, la parentela) al solo “coniuge” del genitore biologico. Secondo i giudici bolognesi l’ostacolo al riconoscimento dell’adozione sarebbe rappresentato dalla mancanza di effetti nel nostro Paese del matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero.
Per questo motivo il Tribunale per i minorenni di Bologna ha chiesto alla Corte Costituzionale di verificare se questa preclusione sia legittima alla luce dei principi della nostra Costituzione.
Secondo l’Avvocatura dello Stato l’ordinanza del Tribunale per i Minorenni sarebbe inammissibile in quanto nel nostro ordinamento, per giurisprudenza delle corti di merito, esiste già la possibilità di riconoscere l’adozione nelle stabili coppie dello stesso sesso in un altro caso, ovvero quando si adotti il figlio del partner, a nulla rilevando l’esistenza di un matrimonio tra il genitore biologico e chi adotta (art. 44 lettera D della legge sull’adozione).
Il Tribunale per i minorenni avrebbe dovuto riconoscere l’adozione sulla base di tale ultima previsione.
La Corte Costituzionale deciderà la questione in camera di consiglio, e non in pubblica udienza, con ciò facendo presagire una decisione di inammissibilità della domanda che potrebbe essere resa nota già in giornata. Le ragioni di inammissibilità potrebbero essere quelle prospettate dell’Avvocatura dello Stato o anche altre.
Non di meno risulteranno rilevanti, specie nel contesto politico di questi giorni, le motivazioni della pronuncia ed i principi che potrebbero essere espressi dalla Corte in ordine alla possibilità, per le coppie formate dallo stesso, di accedere all’adozione in casi particolari, ormai da molti chiamata stepchild adoption. Nello specifico, il caso bolognese ricalca esattamente la previsione dell’articolo 5 del DDL sulle unioni civili che si avvia ad essere stralciato, non sappiamo con quali effetti anche sugli orientamenti della Corte costituzionale.
Ancora una volta la politica sta abdicando al suo primato, chiedendo alla giurisprudenza di continuare a svolgere un ruolo di supplenza nel quadro dei principi dell’ordinamento.
Ci sono in gioco i diritti fondamentali delle persone omosessuali e dei loro figli, le cui vite non possono essere barattate con gli equilibri politici.
Le unioni civili si avviano a sancire, come abbiamo sempre sostenuto, diseguaglianza e discriminazione. Continuiamo a pretendere il matrimonio e l’adozione piena, che non sono richieste radicali, ma diritti fondamentali per persone omosessuali e per i loro figli.
Forse la Corte costituzionale metterà nella costruzione dell’uguaglianza un altro piccolo mattoncino, ma serve la politica, serve il Parlamento e una cultura dei diritti che manca.
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