Il Tribunale dei minori di Bologna, con ordinanza 10 novembre 2014, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli articoli 35 e 36 della legge 184 del 1983 nella parte in cui impediscono il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunziato l’adozione di un minore, figlio biologico di una donna, in favore della partner della stessa a lei unita da matrimonio nello Stato di Washington. Di seguito alcune brevi note dell’Avv. Roberto de Felice.
Il Tribunale dei minori di Bologna (ordinanza 10 novembre 2014) dubita della costituzionalità degli articoli 35 e 36 della legge 184 del 1983 nella parte in cui impediscono il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunziato la adozione di un minore, figlio biologico di una donna, in favore della partner della stessa a lei unita non solo da una relazione ventennale ma anche da un valido matrimonio, nel caso di specie secondo la legge degli Stati Uniti d’America (Stato di Washington). L’ordinanza parte dal presupposto che la decisione del giudice statunitense relativa all’adozione aveva incluso la piena valutazione della idoneità dell’adottante. E’ appena il caso di ricordare agli interpreti che, nel caso di specie, l’atto di matrimonio non è che una prova ulteriore della serietà della relazione tra le due donne. Dalla narrativa contenuta nella ordinanza del Tribunale dei minori si rileva, altresì, che con ogni probabilità la coppia, la cui figlia era nata, a mezzo fecondazione eterologa, nell’anno 2003, si sarebbe trasferita in Italia, nell’anno 2013, data del permesso di soggiorno rilasciato all’adottante per ragioni familiari dalla Questura competente. Pertanto, anche alla luce delle considerazioni in diritto di cui alla menzionata ordinanza, ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 36 comma IV della mai troppo criticata legge italiana sulla adozione. Tale previsione eccezionale consente, invero, ai cittadini italiani residenti all’estero da due anni, con riferimento alla data della decisione straniera di adozione, nel caso di specie intervenuta nell’anno 2004, di far valere il provvedimento di adozione nell’ordinamento italiano, fermo il rispetto dei principi fondamentali dell’istituto. Tale disposizione consente quindi di evitare il controllo della commissione per le adozioni istituita, chissà perché, presso la Presidenza del Consiglio, e di non rivolgersi a un’agenzia di adozioni internazionali come prescritto dalla normativa italiana e dalla convenzione [1]che essa ha attuato nell’anno di grazia 1998. Il Tribunale ricorda che la nostra Corte Suprema di Cassazione ha affermato che anche nel caso di cui all’articolo 36 comma IV della legge sull’adozione, sono comunque principi generali ostativi al riconoscimento dell’adozione stessa l’assenza di un rapporto di coniugio tra gli adottanti. La Repubblica italiana, nel momento in cui viene scritta la presente nota, è l’unico Stato dell’Europa Occidentale che non preveda una qualsiasi forma di riconoscimento per coppie formate da partner del medesimo sesso; invero, a parte lo Stato della Città del Vaticano, il più vicino Stato che vanti tale completa assenza di una qualunque previsione di diritti, anche sotto forma di un istituto ad hoc come l’unione civile, è la repubblica di Bosnia, il che non può non tornare a disdoro del legislatore e del Governo della Repubblica italiana. Non è questa certo la sede per discutere della validità del matrimonio della coppia in questione, accanitamente negato dalla decisione 4184 del 2012 della mentovata Corte di cassazione, che rivela un asperrimo contrasto tra i membri del collegio affermando in una pagina e negando in un’altra, per esempio, che tali matrimoni siano contrari all’ordine pubblico internazionale. Di fronte alla scarsa qualità di tali prodotti culturali e giurisdizionali, l’interprete non può che privilegiare le espressioni contenute nella chiosa della sentenza, e queste ritengono che i matrimoni in questione non siano contrari all’ordine pubblico internazionale. Decisamente la sentenza del 2012 non ha offerto alcun contributo alla scienza giuridica, e molti contributi invece alla scienza della patologia delle motivazioni e delle decisioni giurisdizionali. Ma non è questa la sede, si ripete, per discutere della eventuale validità del matrimonio della coppia della cui figlia, oggi undicenne, trattasi. La Corte di Cassazione, e precisamente, visto che nel nostro ordinamento e anche nella valutazione dei prodotti culturali la responsabilità è personale, la stessa Prima Sezione della medesima Corte[2], ritiene quindi che detti provvedimenti giurisdizionali di adozione, quand’anche adottati dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, la cui preparazione, ci permettiamo, è infinitamente superiore a quella della Corte di Cassazione italiana, non abbiano alcun valore se trattisi di figlia di coppia non sposata o se, all’esito dell’adozione, non risulti figlia di una coppia sposata. Ragionando con la plasticità propria dell’avvocato potrebbe sostenersi, senza necessità di adire la Consulta, che la cosiddetta regola del matrimonio sia scorporabile: da una parte, il matrimonio, inteso come rapporto fra i due coniugi, potrebbe anche non essere valido in Italia, ma potrebbe essere comunque un presupposto per l’applicazione della norma di cui all’articolo 36 comma IV. Di fatto, la Corte costituzionale, nella sua ormai troppo ( anche male e in modo noioso )commentata decisione 138 del 2010, ha ritenuto di potere intervenire a passo di carica ogniqualvolta un singolo diritto non riconosciuto a una famiglia non matrimoniale, fosse anche un’esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo, e figuriamoci il caso dell’adozione, creasse una ingiustificata disparità di trattamento tra la coppia omosessuale, che non si può sposare, e il cui matrimonio non può essere riconosciuto, benché validamente contratto all’estero, e la coppia italiana canonicamente coniugata, magari con una piena applicazione del diritto canonico e il riconoscimento del matrimonio ai sensi degli Accordi di Villa Madama[3]. Il conservatorismo, smaccatamente di matrice cattolica, dei giudici nazionali della Repubblica italiana (ché altrimenti non si spiega per quale ragione gli altri Stati dell’Europa occidentale, e quindi non la Bosnia che esce da una guerra civile sanguinosa e fratricida molto recente, abbiano riconosciuto questi diritti e la Repubblica italiana o i suoi giudici no) le impedirà ogni intervento. L’Italia è, sostanzialmente, il backyard della Santa Sede, e quindi questa innovazione non desiderata dalla Santa Sede, e la debolezza delle compagini politiche che caratterizza la Repubblica da oltre vent’anni, debolezza che fa temere che la Santa Sede e per essa la Chiesa Cattolica Italiana possano influenzare un risultato elettorale che viene spesso deciso da poche migliaia o decine di migliaia di voti, fanno il resto. Tornando a elementi giuridici, pur nella constatata inutilità di poter aspettare una decisione innovativa dalla Corte di Cassazione ovvero dalla Consulta (e forse non è un caso che si continui a chiamare Consulta,
dal nome del palazzo in cui risiede, che era il palazzo della Congregazione della Consulta pontificia[4], ossia il consiglio di Stato dello Stato Pontificio istituito dal Romano Pontefice Sisto V, di venerata memoria, la laica Corte costituzionale) il Tribunale dei minori bene fa a ritenere diritto vivente la giurisprudenza pressoché costante della Corte di cassazione, sezione prima civile, che nega validità per i motivi che abbiamo accennato e che non occorre approfondire alle adozioni di cittadini residenti da tempo all’estero, quando essi non formino una coppia sposata, possibilmente da un ministro del culto cattolico. Allora sorge un problema di coordinamento con alcune decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La cassazione deve, molto semplicemente, cessare di interpretare le sentenze della CtEDU come atti normativi quando deve liquidare o giudicare sulla liquidazione degli indennizzi di cui alla legge Pinto, addirittura statuendo che la media delle liquidazioni operate da detta Corte sia un parametro imposto al giudice di merito italiano, e scordarsi dell’esistenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in tutti i casi in cui una lesbica si accosti a un Tribunale della Repubblica. Perché altrettanto normativa è la sentenza resa nel caso Wagner[5], che ha ritenuto violato l’articolo 8 CEDU dalla legge nazionale, nel caso di specie dello stato del Granducato del Lussemburgo, che ha riconosciuto la necessità di rispettare la sentenza straniera di adozione nei confronti di persona non sposata, caso che ricorda molto quello di specie[6].
La Corte qui esprime il principio che occorra tenere conto della realtà sociale della situazione, che l’interesse del minore è fondamentale, e che non si poteva disattendere la decisione peruviana corrispondente a una situazione di vita familiare nel senso dell’art 8 ; la precedenza accordata dai giudici alla regola di conflitto sulla situazione concreta viola l’art 8, perché era precisamente l’interesse del minore, già in orfanotrofio, che si opponeva al rifiuto del riconoscimento; l’applicazione delle norme interne di conflitto non è una ragione sufficiente – ex art 8 – di ingerenza nella vita familiare.
Nella sentenza concernente l’Austria del 19 febbraio 2013, X V Austria[7] la Grande Sezione della predetta Corte aveva deciso esattamente lo stesso caso. I ricorrenti erano due donne che vivevano in una relazione stabile. Una di queste era madre biologica di un figlio, nato al di fuori del matrimonio e riconosciuto dal padre. Le due donne avevano convissuto da quando il bambino aveva cinque anni. La richiesta della partner di adottare il bambino era stata respinta, nientemeno che dalla Corte Costituzionale federale, che, il 14 giugno 2005, aveva rifiutato di affrontare direttamente, ai sensi dell’articolo 140 della Costituzione, la questione di costituzionalità della norma, che li come qua preclude anzi precludeva, l’adozione nel caso di specie. Così la coppia si era rivolta ai giudici di merito che nell’ottobre 2005 avevano piamente rigettato la richiesta di adozione. Secondo la legge austriaca il rapporto di filiazione con un genitore biologico dello stesso sesso, cessa di esistere al momento per la pronunzia di adozione. Poiché la legge austriaca e precisamente l’articolo 179 del codice civile, all’epoca prevedeva potesse adottare solo una coppia sposata, di conseguenza il ricorso non poteva essere accolto. L’appello non aveva avuto miglior fortuna, anzi era stato dichiarato inammissibile perché proposto dalla madre biologica del minore in conflitto di interessi con minore stesso. E così anche la Corte Suprema della Repubblica federale austriaca, pur ritenendo ammissibile l’appello religiosamente e didascalicamente ribadiva che l’adozione doveva costituire un mezzo appropriato per affidare a persone adatte e responsabili la cura e la crescita dei bambini che non avevano genitori, o di quelli che venissero da famiglie distrutte, o di quelli i cui genitori per qualunque ragione fossero incapaci di provvedere ai loro figli… Questo scopo può essere realizzato solo quando l’adozione consente di ricreare la situazione presente in una famiglia biologica per quanto sia possibile… I giudici di Strasburgo hanno pesantemente bastonato le Corti austriache. Premesso che l’orientamento sessuale è una caratteristica di discriminazione tutelata dall’articolo 14 e che tutte le disposizioni diritto di famiglia comprese quelle sull’adozione sono tutelate dall’articolo 8, potevano applicarsi gli articoli 8 e 14 della CEDU. Poiché in Austria la legge consentiva siffatta adozione alle coppie non sposate, purché eterosessuali, vi era una differenza di trattamento tra i ricorrenti e un’altra qualsiasi coppia eterosessuale non sposata. Lo scopo di proteggere la famiglia nel senso tradizionale, invece era piuttosto astratto e si poteva usare una larga varietà di misure concrete per proteggere la famiglia in generale, interpretando la convenzione, strumento vivente, e pertanto tenendo necessariamente in considerazione gli sviluppi nella società e i cambiamenti nella percezione delle questioni sociali, di stato civile delle relazioni, includendo il fatto che non vi è solo un modo o una sola scelta quando si tratta di condurre la propria vita privata o familiare. L’assoluta proibizione della Step- Child Adoption per le coppie omosessuali era un mezzo che non provvedeva alle necessità del minore in modo adeguato; al contrario, essendo sovranamente indifferente la questione, lasciata al margine di apprezzamento degli stati, se le coppie dello stesso sesso potessero sposarsi, la Corte dichiarava pertanto che l’Austria avesse violato gli articoli 14 e 8 CEDU. Tanto, all’unanimità.
Premesso che non era in rilievo la questione del diritto al matrimonio, e che la coppia ricorrente non era in una situazione identica a quella di una coppia sposata, vi era discriminazione rispetto a una coppia non sposata eterosessuale, basata sull’orientamento sessuale, disposta dalla legge, e il margine di apprezzamento dello Stato è ristretto ( e questo supera di per sé l’assenza di un consensus). Ora, lo Stato non teneva conto che, permettendo l’adozione a una persona single, anche se omosessuale, vietava in blocco l’esercizio di un diritto senza sufficienti motivi e in modo incoerente. Tenere in conto le famiglie di fatto e la giuridificazione dei loro rapporti risponde maggiormente all’interesse prevalente del minore-
Un modesto avviso di questo interprete è che, nonostante lo stato italiano, nel riprovare evidentemente il sesso prematrimoniale e quindi nel non concedere nemmeno alle coppie eterosessuali che abbiano giurato sul codice civile (o se preferiscano, su copia anastatica di Chiovenda o del Signore degli Anelli ) di volere condurre vita comune pur senza sposarsi, la decisione X e Austria sia applicabile al caso di specie. Invero, la situazione nella Repubblica italiana è a
ncora più grave, il vuoto di tutela per le situazioni familiari non sancite dal vincolo del matrimonio è pressoché assoluto, salvo i diritti in articulo mortis come quelli di potere, con l’autorizzazione del magistrato, recarsi in visita al convivente carcerato. Il che non è molto, anzi è pochissimo per non rendere il nostro paese disperatamente arretrato. La assenza di un livello intermedio che possa servire da termine di paragone, come nel caso austriaco, dovrebbe, per la ritenuta natura familiare della relazione di fatto di una coppia omosessuale (se Schalk v Kopf [8]ricorda qualcosa) condurre alla dichiarazione di incostituzionalità della legge in questione per violazione dell’articolo 117 comma I della Costituzione. Peraltro in due recenti decisioni, Mennesson v Francia[9] e Labassée v Francia, rese in liti in cui la Cassazione Francese non riconosceva la trascrizione di atti di nascita di bambini nati da madri surroganti ma emessi al nome delle madri surrogate, coniugate con i padri biologici è una violazione del diritto alla vita privata dei figli.
Il rispetto della vita privata esige il rispetto dell’identità, che include la filiazione; uno Stato non può ignorare la filiazione stabilita altrove senza attentare alla identità di un essere umano .
Peraltro, a parte la strada del ricorso alla Corte europea di Strasburgo ove la consulta decidesse di non decidere la questione, sarebbe, al fine, necessario che gli Stati con i quali l’Italia ha dei rapporti di alleanza politica, militare ed economica, si facciano sentire con note di protesta quando lo Stato italiano osidisconoscere gli atti formati in conformità alla loro legge e alla loro tradizione costituzionale che forse ha qualche cosa da insegnare. Se si fa parte di un club si deve accettare anche di adempiere agli obblighi che nuocciono agli astratti interessi delle confessioni religiose universali con sede in un’enclave della Repubblica italiana.
[1] Convenzione de L’Aja per la tutela dei minori e la cooperazione nelle adozioni internazionali, del 29 maggio 1993, ratificata con Legge 31 dicembre 1998, n 476. In realtà la Convenzione è stata ‘’iperapplicata’’ dall’Italia, visto che il suo oggetto non concerne le adozioni da parte di due stranieri residenti abitualmente in uno Stato di un minore egualmente residente in quello Stato (art 2 co 1). Ho pertanto serie perplessità che l’Italia potesse, all’art 36 co IV L 184, richiamare le condizioni diverse, tra cui lo stato di coniugio, costituenti ‘’principio essenziale’’ dell’adozione. Avendolo fatto, ha semplicemente imposto la applicazione di norme al di fuori di ogni obbligo convenzionale, e comunque probabilmente non ha rispettato l’art 24 della medesima Convenzione, che prevede che il rifiuto del riconoscimento dell’adozione per ragioni di ordine pubblico possa operare tenuto conto dell’interesse del minore.
[2] Cass., I Civ. , 3572/11. La Corte ha peraltro commesso uno svarione non indifferente. L’art 36 co 4 richiede, per il riconoscimento della adozione dei residenti all’estero di minore residente nello stesso Stato, l’osservanza dei principi della Convenzione… che non si applica a tale tipo di adozione. La Corte non prende in esame il principio del bilanciamento dell’ordine pubblico internazionale con quello della tutela dell’interesse del minore, pure sancito dall’art 24 Conv. E dallo stesso art 35 co 3 L 184 che la Corte ritiene richiamato dall’art 36 co 4. E’ da dimostrare che il requisito del matrimonio sia un principio generale. Lo è l’idoneità educativa, ex art 6 co 2, nonché, genericamente, la differenza di età, pur se non corrispondente a quella dello stesso art 6, ma riconducibile alla imitatio naturae. La natura coniugale della famiglia non pare un requisito funzionale alla educazione e cura dei bambini, visto che allo stato non sussistono norme o prassi che prevedano la decadenza dalla potestà della madre perché single o dei genitori perché non sposati.
[3] Accordo tra la Santa Sede e l’Italia del 18 febbraio 1984, ratificato con Legge 25 marzo 1985 n 121
[4] Bolla Immensa Aeterni Dei , 22.1.1588, istitutiva della Sacra Congregazione della Consulta, costituente il Consiglio di Stato dello Stato Pontificio, insediata nel Palazzo nel 1737.
[5] CtEDU 28.6.07,unanime. http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-81328 . Ivi la Corte richiesta di delibare il decreto di adozione peruviano in favore di una donna single aveva rimesso la questione alla Corte Costituzionale, che riteneva la razionalità della norma proibitiva nel senso della garanzia di un maggior numero di genitori all’adottato, la Corte Distrettuale pertanto dichiarava il decreto contrario all’ordine pubblico internazionale, con decisione confermata in Appello e Cassazione.
[6] Precisamente lo Stato non aveva alcuna sufficiente ragione per discriminare Madame Wagner anche alla luce del favorevole parere dei servizi sociali né poteva quotidianamente discriminare l’adottato.
[7] CtEDU, Grande Sezione, 9 febbraio 2013 n 19010/07, http://hudoc.echr.coe.int/sites/fra/pages/search.aspx?i=001-116735 .
[8] CtEDU ISezione, sentenza 24.6.10 nel ricorso 30141/04 , http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-99605 . La causa concerne una coppia gay austriaca che esigeva un riconoscimento legale. La Corte rifiuta di sostituirsi agli Stati e al loro m
argine di apprezzamento sulla inclusione delle coppie omosessuali nel matrimonio. Ma le relazioni omosessuali sono incluse della nozione di vita familiare e rilevano ex art 8 CEDU, e solo la circostanza della approvazione, nelle more del processo. Della legge sulle Unioni Civili, fa ritenere assente una discriminazione in base all’orientamento sessuale.
[9] CtEDU sez V, 26 giugno 2014, sentenze (unanimi, definitive) nei ricorsi 65192/11 , http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-145179 e 65941/11, http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-145180 .
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