Il 31 gennaio 2012 sono stati presentati a Milano i risultati di un’indagine relativa all’inclusione delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) sul posto di lavoro. Tale ricerca è stata commissionata da Ikea e realizzata dall’associazione Parks all’interno di 3 punti vendita Ikea: Bologna, Roma e Catania 1.
Le risposte dei quasi 500 questionari raccolti (476 per l’esattezza, sui 1079 somministrati, dunque il 44,11%) sono utili al fine di comprendere quale sia l’inclusione e/o la discriminazione delle persone LGBT all’interno del contesto lavorativo Ikea, e messe di fianco (e a confronto) con le più recenti ricerche sul tema (quali, in Italia, la ricerca “Io sono io lavoro” realizzata da Arcigay 2) aggiungono un ulteriore tassello al quadro italiano.
Ha introdotto la presentazione Ivan Scalfarotto, direttore esecutivo di Parks, che ha analizzato con entusiasmo i risultati ottenuti.
Fra i più interessanti quelli relativi alla percentuale di LGBT sui rispondenti (71 su 476, pari al 14,9% e più in generale 6,58% rispetto al totale dei 1079 lavoratori); sulla visibilità delle persone LGBT in Ikea (il 90% dei rispondenti dichiara di conoscere e/o lavorare con colleghi dichiaratamente LGBT – anche se solo il 38% dei rispondenti LGBT dichiara di essere completamente dichiarato) 3 ma, soprattutto, l’85% dei rispondenti dichiara che “lavorare con una persona LGBT non gli/le crea alcun imbarazzo” 4.
Da non sottovalutare, comunque, il dato secondo cui il 38% dei rispondenti (che sale al 65% dei rispondenti LGBT) dichiara di aver sperimentato in IKEA almeno una volta comportamenti omonegativi 5.
L’omonegatività 6 è un concetto più ampio dell’omofobia, che include le componenti culturali e le radici sociali dell’intolleranza, riferendosi all’intera gamma di sentimenti, atteggiamenti e comportamenti negativi verso l’omosessualità e le persone omosessuali.
Il concetto di omonegatività sul lavoro può certamente considerarsi assimilabile al concetto di molestie normato dal D.Lgs 216/2003 7.
Altri risultati negativi emersi dall’indagine sono i seguenti: il 91% degli intervistati, nonostante le premesse di cui sopra, ritiene che essere LGBT debba essere una questione privata e non oggetto di discussione sul lavoro, e quasi la metà degli intervistati pensa che l’eccessiva attenzione alla diversità rischi di svantaggiare chi non ha da far valere una diversità 8.
Creare un ambiente inclusivo, però, e in conclusione, è visto come una delle priorità che deve avere Ikea secondo l’84% dei suoi intervistati. Come ricordava Ivan Scalfarotto, infatti, “il rispetto e l’inclusione in azienda sono fattori formidabili per chi lavora e si riflettono direttamente tanto sulla soddisfazione e sulla produttività delle persone quanto sulla capacità per le imprese di attrarre e trattenere i migliori talenti sul mercato”.
Successivamente sono intervenuti nell’ordine Valerio di Bussolo, responsabile Relazioni Esterne Ikea, altrettanto soddisfatto dei dati raccolti, Paolo Arnaldi, responsabile delle risorse umane di Citi, la Professoressa Chiara Volpato dell’Università Bicocca di Milano, e il Professor Vittorio Lingiardi professore Ordinario di Psicopatologia Generale e Direttore II Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica, Università “La Sapienza” di Roma.
Accanto alle speculazioni sociologiche e psicologiche emerse nel corso della presentazione menzionata, appare opportuno ricordare che secondo la normativa italiana vigente è fatto espresso divieto dal D.Lgs 216/2003 che ha recepito la direttiva europea 2000/78/CE porre in essere comportamenti discriminatori in ambito lavorativo che possano basarsi sulla religione professata, sulle convinzioni personali, sulla presenza di un handicap, sull’età e sull’orientamento sessuale dei lavoratori e delle lavoratrici.
In particolare la normativa europea (Direttiva 78/2000/CE) ripresa poi da quella italiana (D.Lgs. 216/2003) prevede che una persona gay, lesbica o bisessuale possa invocare una tutela se è discriminata per ciò che concerne:
• l’accesso all’occupazione;
• l’occupazione e le condizione di lavoro;
• l’accesso a tutti i tipi di formazione;
• l’attività nell’ambito delle organizzazioni di lavoratori.
Il decreto prevede che chi dovesse ritenere di essere discriminato, possa rivolgersi al giudice perché quest’ultimo faccia cessare il comportamento discriminatorio: tale tutela giurisdizionale dei diritti è prevista dall’art. 4 del D.Lgs. 216/2003. La norma stabilisce al comma 5 che quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.
A seguito di questo importante intervento legislativo, un ulteriore richiamo in tema di divieto di discriminazione sul lavoro è stato altresì fornito dall’art. 10 del d.lgs 276/2003, con cui vengono espressamente posti alcuni limiti in capo ai soggetti che operano sul mercato del lavoro in relazione a questioni e opinioni personali dei lavoratori, come ad esempio gli orientamenti politici, religiosi, sessuali etc.
Il tentativo di migliorare le condizioni lavorative e di eliminare ogni forma di discriminazione eventualmente ravvisabile, ha inoltre trovato espressa previsione anche nell’ambito del pubblico impiego con il d. lgs. 138/2010 con cui sono stati istituiti i CUG, comitati unici di garanzia, volti a creare un ambiente maggiormente paritario a livello lavorativo per quel che concerne la pubblica amministrazione e la tutela dei soggetti in essa discriminati.
L’incontro del 31 gennaio si è quindi inserito all’interno di un contesto volto a capire quale sia l’effettiva percezione della discriminazione dei soggetti LGBT in ambito lavorativo, e partendo quindi dalla ricerca empirica, vuole essere veicolo per garantire parità di trattamento, uguaglianza di diritti e opportunità di tutti i soggetti che interagiscono nel mondo del lavoro.
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