Nota a:
Cassazione penale , 21/05/2009, n. 32190, sez. IV
ANCORA SULLA (MUTEVOLE) RILEVANZA PENALE DELLA FAMIGLIA DI FATTO: PRIME APERTURE GIURISPRUDENZIALI
Cass. pen. 2011, 3, 1029
Sergio Beltrani
Sommario 1. Premessa. – 2. La sentenza n. 32190/2009. – 3. Gli ulteriori sviluppi del dibattito giurisprudenziale. – 4. Qualche riflessione.
1. PREMESSA
In sede di commento a Sez. VI, 25 gennaio 2007, G. (1), che aveva ribadito la configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) anche in danno della convivente more uxorio, avevamo esaminato la rilevanza della famiglia di fatto nel diritto penale, ripercorrendo gli orientamenti giurisprudenziali relativi ai diversi istituti, ed evidenziando l’inaccettabile disomogeneità delle soluzioni di volta in volta adottate.
Alle unioni di fatto viene attualmente riconosciuta rilevanza:
(a) ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, poiché tra i redditi degli altri familiari conviventi facenti capo all’interessato vengono pacificamente fatti rientrare anche quelli del convivente more uxorio (l’art. 76, comma 2, d.P.R. n. 115 del 2002 opera, infatti, generico riferimento alle unioni familiari, quale che ne sia la natura, e quindi anche a quelle di fatto) (2);
(b) ai fini del riconoscimento della sussistenza dell’attenuante della provocazione (art. 62, n. 2, c.p.) (3).
Diversamente, esse sono state considerate irrilevanti:
(c) ai fini della determinazione dei “prossimi congiunti” (art. 307, comma 4, c.p.) cui può essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’art. 384, comma 1, c.p.: la giurisprudenza di legittimità continua a far riferimento alla sola famiglia legittima, escludendo la possibile rilevanza della convivenza more uxorio(4), ricevendo l’autorevole avallo di quella costituzionale (5), che ha reiteratamente negato l’illegittimità della mancata equiparazione, ai fini che qui interessano, del coniuge al convivente more uxorio, sia perché la censura fondata sull’irragionevolezza della mancata equiparazione dovrebbe mirare ad una decisione additiva che implicherebbe l’esercizio di potestà discrezionali riservate al legislatore, sia perché esistono, nell’ordinamento, ragioni costituzionali che giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi, trovando il rapporto coniugale tutela diretta nell’art. 29 Cost., mentre il rapporto di fatto fruisce della tutela apprestata dall’art. 2 Cost. ai diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali, con la conseguenza che ogni intervento diretto ad ottenere una disciplina omogenea delle due situazioni rientra nella sfera di discrezionalità del Legislatore. Peraltro, la prima decisione in argomento (6) pur risolvendo negativamente la questione, aveva ammesso che “un consolidato rapporto (come la convivenza more uxorio), ancorché di fatto, non appare costituzionalmente irrilevante se si abbia riguardo al riconoscimento delle formazioni sociali ed alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.) e ciò tanto più se vi sia presenza di prole. Siffatti interessi sono indubbiamente meritevoli, nel tessuto delle realtà sociali odierne, di compiuta obiettiva valutazione”, rivolgendo autorevolmente, ma invano, al Legislatore “la già espressa sollecitazione a provvedere in proposito”;
(d) in relazione all’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 577, comma 2, c.p. (non consentita – stante il chiaro disposto della norma – dal divieto di analogia in malam partem) (7).
In alcuni casi, è persino dato registrare, sulla medesima questione, contrasti tra la giurisprudenza penale e quella civile: ad esempio, la prima esclude la legitimatio ad causam in capo al convivente more uxorio per il risarcimento dei danni cagionati dalla morte della persona con cui conviveva (8), laddove la seconda è in proposito orientata in senso contrario (9).
L’iter interpretativo dell’art. 649 c.p. ha ricalcato quello già riepilogato in relazione all’art. 384 c.p.: anche in questo caso, la giurisprudenza di legittimità si è rivelata ferma nell’escludere l’estensione dell’istituto alle unioni di fatto (10). Ed analoghi sono stati i percorsi interpretativi seguiti dalla giurisprudenza costituzionale per escludere l’illegittimità della disciplina, così interpretata, per la mancata equiparazione della convivenza more uxorio al rapporto di coniugio: “non è irragionevole od arbitrario che – particolarmente nella disciplina di cause di non punibilità, quale quella in esame, basate sul “bilanciamento” tra contrapposti interessi (quello alla repressione degli illeciti penali e quello del valore dell’unità della famiglia, che potrebbe essere pregiudicato dalla repressione) – il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, contemplata nell’art. 29 Cost., e per la convivenza more uxorio: venendo in rilievo, con riferimento alla prima, a differenza che rispetto alla seconda, non soltanto esigenze di tutela delle relazioni affettive individuali, ma anche quella della protezione dell'”istituzione familiare”, basata sulla stabilità dei rapporti, di fronte alla quale soltanto si giustifica l’affievolimento della tutela del singolo componente. Né rileva in contrario la (peraltro non totale) parificazione del convivente al coniuge riguardo alla facoltà di astensione dalla testimonianza, operata dall’art. 199 c.p.p., non potendosi far discendere dalla norma così invocata dal giudice a quo come termine di raffronto un principio di assimilazione dotato di vis expansiva fuori del caso considerato” (11).
In verità, nella prima occasione in cui si erano occupati della questione (12), il Giudici delle leggi, pur concludendo per l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p., per il rilievo che “la non punibilità dei delitti contro il patrimonio commessi in danno del coniuge non legalmente separato si fonda sulla presunzione di esistenza di una comunanza di interessi che assorbe il fatto delittuoso, sicché la mancata estensione della suddetta esimente alla diversa fattispecie della convivenza more uxorio – fondata sull’affectio quotidiana, liberamente e in ogni istante revocabile – non sembra contrastare con gli artt. 2 e 3 Cost.”, avevano precisato che tale restrittivo principio poteva in concreto operare soltanto “se (come nel caso oggetto del giudizio a quo) sussistano atti concludenti che attestano la revocazione dell’affectio e dunque il venir meno della convivenza more uxorio”.
In adesione agli orientamenti sin qui riepilogati (ciascuno, con riguardo all’istituto interessato, assolutamente dominante, se non pacifico), si determina, pur all’apparenza legittimamente, l’effetto paradossale che alla donna indagata/imputata di favoreggiamento per aver offerto ospitalità al convivente more uxorio/latitante, titolare di una posizione reddituale rilevante, dovrebbe, nell’ambito del medesimo procedimento, esser negata sia l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (poiché alla determinazione del reddito concorrono i redditi dei familiari conviventi, quale che sia la natura – di fatto o legittima – dell’unione familiare), sia l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p. (che la norma limita ai “prossimi congiunti”, la cui nozione opera, ex art. 307, comma 4, c.p. unicamente nell’ambito della “fami
glia legittima”), o di quella prevista dall’art. 649 c.p. Tuttavia, se il predetto convivente more uxorio/latitante maltrattasse la propria compagna, risulterebbe responsabile del delitto previsto dall’art. 572 c.p. (norma posta a tutela di qualunque unione tendenzialmente stabile, anche se meramente di fatto).
Evidente ci era apparsa l’inaccettabilità della disomogeneità delle soluzioni di volta in volta adottate; ed avevamo concluso osservando che, “per evitare simili bizzarrie, se la giurisprudenza continuerà a ritenere l’impossibilità di attribuire indiscriminata rilevanza ex artt. 3 e 29 Cost. alle unioni di fatto, ed in particolare alla convivenza more uxorio (come, al contrario, l’evoluzione dei costumi e la mutata coscienza della collettività, che hanno portato al sempre più diffuso riconoscimento della loro rilevanza sociale, a nostro avviso impongono), non resta che auspicare l’intervento del legislatore, invitato dal Giudice delle leggi ad attivarsi per disciplinare in maniera uniforme la possibile rilevanza penale delle unioni di fatto già nel 1986, ma sin qui rimasto inerte” (13).
2. LA SENTENZA N. 32190/2009
Alla luce di quanto premesso, non possiamo che accogliere con soddisfazione la pronunzia della quarta sezione in commento, che ha finalmente riconosciuto l’operatività della causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista dall’art. 649 c.p. anche in favore del convivente more uxorio.
Nel caso di specie, era stata emessa, con riguardo ai reati di furto con strappo (art. 624-bis c.p.) e furto aggravato (artt. 624 e 61, n. 7 ed 11, c.p.), sentenza di non doversi procedere, per essere i reati estinti per remissione di querela, sul presupposto dell’applicabilità dell’art. 649, comma 2, c.p. (punibilità a querela della persona offesa), in quanto l’imputato e la persona offesa, al momento dei fatti oggetto del processo, erano conviventi more uxorio (la convivenza era successivamente cessata).
Nel rigettare il ricorso del procuratore generale, la Corte di cassazione ha innanzi tutto richiamato i disomogenei orientamenti giurisprudenziali di legittimità in tema di convivenza more uxorio, evidenziando che, sotto il profilo penalistico, “il concetto di “famiglia” cui fanno riferimento diverse norme incriminatrici vigenti, non è sempre ritenuto legato all’esistenza di un vincolo di coniugio o comunque di una famiglia nata da tale vincolo ma i precedenti giurisprudenziali spesso si riferiscono a qualsiasi consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e di solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo”.
Inoltre, nel richiamare l’orientamento della Corte costituzionale (che, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p. – nella parte in cui non stabilisce la non punibilità dei fatti ivi previsti se commessi in danno del convivente more uxorio – ha dichiarato non fondata la questione) (14), il collegio ha osservato che, in realtà, il Giudice delle leggi non ha ritenuto irragionevole una eventuale diversa interpretazione dell’art. 649 c.p., ma anzi ha ricordato che, proprio su sua sollecitazione (15), era stato approvato l’art. 199 c.p.p. che, nel disciplinare la facoltà di astensione dal deporre dei prossimi congiunti, ha esteso la facoltà di astenersi “a chi, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso”, sia pure limitando la facoltà ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza (16). D’altro canto, plurime modifiche normative recenti hanno esteso la disciplina penalistica ai conviventi ed alla famiglia di fatto in genere (17).
Per quanto riguarda specificamente la possibilità di applicare l’art. 649 c.p. al convivente more uxorio, il collegio ha premesso che l’equiparazione della famiglia alla famiglia di fatto per analogia (posto a fondamento della decisione impugnata) è insoddisfacente, poiché in molti casi si tratterebbe di una chiara ipotesi di analogia in malam partem non consentita: “se si ragiona in termini di analogia deve peraltro ritenersi che questa estensione per via analogica in malam partem sia già avvenuta. La già ricordata giurisprudenza di legittimità sull’applicabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia anche nel caso di convivenza more uxorio e l’affermata ricorrenza dell’aggravante del fatto di lesioni volontarie commesso in danno del coniuge lo dimostrano. E, in quest’ottica, non costituirebbe estensione analogica in malam partem ritenere che chi chiede di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato debba tener conto anche del reddito del convivente more uxorio malgrado la norma parli soltanto di “coniuge”?”.
Deve, inoltre, necessariamente evidenziarsi che il ricorso all’analogia, anche se in bonam partem(18), sarebbe comunque inammissibile, poiché le cause speciali di non punibilità (tale è la natura giuridica degli istituti di cui agli artt. 384 e 649 c.p.) presentano carattere eccezionale che preclude l’ampliamento del loro campo di applicazione per analogia, in quanto le valutazioni politico-criminali che ne costituiscono il fondamento sono “legate alle caratteristiche specifiche della situazione presa in considerazione e perciò non estensibili ad altri casi” (19).
Nondimeno, la Corte ha condivisibilmente evidenziato che l’interprete deve ricondurre il sistema a coerenza onde evitare di adottare soluzioni che contrastino – prima ancora che con una visione unitaria del tema – con il senso comune: “perché mai all’imputato di lesioni volontarie in danno del convivente more uxorio dovrebbe essere contestata l’aggravante di aver commesso il fatto in danno del coniuge convivente e poi, se la stessa persona commette un furto in danno del medesimo convivente, viene punita come qualunque altro autore del medesimo fatto?”.
Si tratta di contraddizioni che, come da noi già auspicato (20), possono essere evitate solo accogliendo una nozione di “famiglia” e di “coniugio” in linea con i mutamenti nella considerazione sociale che questi istituti hanno avuto negli ultimi decenni del secolo scorso: “chi mai porrebbe in dubbio che famiglia sia soltanto quella che si fonda sul matrimonio e non anche quella che si fonda su una convivenza eventualmente durata decenni, che ha spesso condotto alla procreazione di figli, caratterizzata dall’assistenza reciproca, dalla convivenza fondata su comuni ideali e stili di vita? E chi riuscirebbe a distinguere la situazione personale di uno dei protagonisti di questa vicenda umana, che spesso ha termine solo con la morte di uno dei partecipi, da quella di chi ha contratto formalmente il matrimonio?”.
Il diritto deve necessariamente tener conto dell’evoluzione della società, ed adattare le sue regole ai mutamenti della realtà sociale: “oggi famiglia e matrimonio hanno un significato diverso e più ampio rispetto a quello che veniva loro attribuito all’epoca dell’entrata in vigore del codice penale ancora vigente e la stabilità del rapporto, con il venir meno dell’indissolubilità del matrimonio, non costituisce più caratteristica assoluta e inderogabile ed anzi spesso caratterizza maggiormente unioni non fondate sul matrimonio”.
E l’interprete non può non tener conto, nell’inquadramento giuridico degli istituti preesistenti, della legislazione degli ultimi decenni, “particolarmente attenta nel prevedere un trattamento indifferenziato di situazioni che, evidentemente, reputa meritevoli di una disciplina comune”.
Per tale ragione, la
conclusiva decisione del giudice di merito è stata ritenuta corretta, pur non potendone essere condiviso il percorso argomentativo (che faceva riferimento all’analogia): “se ragioni di politica criminale hanno condotto a ritenere non punibile il furto commesso in danno del coniuge convivente e punibile a querela quello commesso in danno del coniuge legalmente separato, non può negarsi che identiche ragioni giustificative fondino l’esigenza di identico trattamento per chi sia, o sia stato, legato da identico vincolo non fondato sul matrimonio, esistendo, anche in questi casi, la prevalenza dell’interesse alla riconciliazione rispetto a quello alla punizione del colpevole”.
3. GLI ULTERIORI SVILUPPI DEL DIBATTITO GIURISPRUDENZIALE
Naturalmente, il problema è ben lungi dal potersi considerare risolto.
Dopo la decisione in commento, la seconda sezione della Corte di cassazione ha ribadito, sulla scia della giurisprudenza costituzionale, l’orientamento in precedenza dominante, affermando che “la causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista per il coniuge dall’art. 649 c.p. non si estende al convivente more uxorio” (21), invero senza dar conto del precedente contrario, e con motivazione estremamente scarna, inconcepibilmente incentrata sulle presunte difficoltà che la prova di un rapporto di fatto presenterebbe (22), con indebita commistione di profili di diritto e profili di fatto (laddove l’interprete ben potrebbe riconoscere rilevanza alla convivenza more uxorio, salvo ritenere, nel caso concreto, in presenza di una situazione di incertezza probatoria, che non ne sia stata adeguatamente dimostrata la sussistenza).
Ed anche la giurisprudenza costituzionale, sia pure con riferimento all’istituto di cui all’art. 384, comma 1, c.p., ha più recentemente ribadito che la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale (poiché nella Costituzione il secondo è oggetto della specifica previsione di cui all’art. 29 Cost., mentre la prima ha rilevanza nell’ambito della protezione dei diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost.) e tale diversità giustifica che la legge possa riservare ai due istituti trattamenti giuridici non omogenei: “se è vero che, in relazione ad ipotesi particolari, si possono riscontrare tra i due istituti caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria un’identità di disciplina, che la Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza, nella specie, l’estensione di cause di non punibilità comporta un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti che appartiene primariamente al legislatore. Si tratterebbe, insomma, di mettere a confronto l’esigenza della repressione di delitti contro l’amministrazione della giustizia, da un lato, e la tutela di beni afferenti alla vita familiare, dall’altro, ma non è detto che i beni di quest’ultima natura debbano avere necessariamente lo stesso peso, a seconda che si tratti della famiglia di fatto o della famiglia legittima, per la quale sola esiste un’esigenza di tutela non solo delle relazioni affettive, ma anche dell’istituzione familiare come tale, di cui elemento essenziale e caratterizzante è la stabilità. Ciò legittima nel settore dell’ordinamento penale soluzioni legislative differenziate”. E si è, infine, ancora una volta ritenuto che una dichiarazione di incostituzionalità che assumesse la pretesa identità della posizione spirituale del coniuge e del convivente, “oltre a rappresentare la premessa di quella totale equiparazione che non corrisponde alla visione fatta propria dalla Costituzione, determinerebbe ricadute normative consequenziali di portata generale che trascendono l’ambito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale”.
4. QUALCHE RIFLESSIONE
Ma davvero la “totale equiparazione” tra la famiglia pleno iure e quella di fatto “non corrisponde alla visione fatta propria dalla Costituzione”?
Nessuno, né in giurisprudenza costituzionale, né in quella di legittimità, ha finora tenuto conto dell’art. 8 CEDU (23), a norma del quale “ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”.
E la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo accoglie una nozione sostanziale, onnicomprensiva di “famiglia”, senz’altro ricomprendente anche i rapporti di fatto, privi di formalizzazione legale, ai quali si ritiene che l’art. 8 assicuri incondizionata tutela: in tal senso, va ricordata la sent. 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, per la quale l’art. 8 “presuppone l’esistenza di una famiglia, e tutela sia la famiglia naturale che la famiglia legittima”, poiché la nozione di famiglia accolta dalla citata disposizione “non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza” (24). Il principio è stato più recentemente ribadito dalla sentenza 13 dicembre 2007, Emonet ed altri contro Svizzera, per la quale “La nozione di famiglia accolta dall’art. 8 CEDU non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza. La durata della convivenza e l’eventuale nascita di figli sono elementi ulteriormente valutabili” (25).
È ormai pacifico che la Corte costituzionale, “qualora sia sollevata una questione di legittimità costituzionale di una norma nazionale rispetto all’art. 117, primo comma, Cost. per contrasto – insanabile in via interpretativa – con una o più norme della CEDU”, deve preliminarmente accertare l’esistenza del contrasto “e, in caso affermativo, verificare se le stesse norme CEDU, nell’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione italiana” (26). Si è precisato che “in presenza di un apparente contrasto fra disposizioni legislative interne ed una disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost., solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa”, giacché soltanto “ove l’adeguamento interpretativo, che appaia necessitato, risulti impossibile o l’eventuale diritto vivente che si formi in materia faccia sorgere dubbi sulla sua legittimità costituzionale, questa Corte potrà essere chiamata ad affrontare il problema della asserita incostituzionalità della disposizione di legge” (27).
Nel caso in esame, il contrasto tra la considerazione, agli effetti penali, della famiglia di fatto nell’ordinamento interno e l’art. 8 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo (senz’altro nel segno di una tutela maggiore rispetto al livello garantito dalla Costituzione italiana) appare di solare evidenza; e, d’altro canto, con specifico riguardo agli istituti di cui agli artt. 384 e 649 c.p., non può omettersi di considerare che le fonti internazionali aventi efficacia penale in bonam partem sono immediatamente cogenti per l’interprete, a meno che non si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, e non ne è questo il caso.
Riteniamo che l’evidenziato contrasto possa essere senz’altro risolto in via interpretativa, poiché l’adeguamento interpretativo (nel senso della completa equiparazione in bonam partem, ad ogni effetto penale, della fami
glia pleno iure a quella di fatto) necessitato non risulta impossibile, e proprio i contrasti di recente insorti nell’ambito della giurisprudenza di legittimità sul tema, impediscono di ravvisare l’esistenza di un diritto vivente ostativo; naturalmente, ove dovesse ritenersi l’esistenza di un diritto vivente di segno contrario, l’interprete dovrebbe comunque investire della questione la Corte costituzionale.
La necessità (ineludibile in relazione al parametro costituzionale di cui all’art. 117, comma 1, Cost.) di adeguare il diritto interno a quello comunitario, in difetto di un vulnus per i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, potrà, ed anzi dovrà, finalmente, consentire senza esitazioni di superare, pur perdurando l’inerzia del legislatore, le residue resistenze frapposte da alcuni settori della giurisprudenza all’equiparazione in bonam partem, agli effetti penali, della convivenza more uxorio al vincolo coniugale.
NOTE
(1) BELTRANI, La (mutevole) rilevanza della famiglia di fatto nel diritto penale, in questa rivista, 2008, p. 2858 ss.
(2) In tal senso si sono espresse, tra le altre, Sez. VI, 31 ottobre 1997, Scaburri, in C.E.D. Cass., n. 211722; Sez. IV, 28 gennaio 2004, Zen, ivi, n. 220035; Sez. IV, 17 febbraio 2005, Capri, ivi, n. 231357; Sez. IV, 26 ottobre 2005, Curatolo, in Dir. e giust., 2005, n. 5, p. 38.
(3) Così Sez. I, 12 novembre 1971, Tamarisco, in C.E.D. Cass., n. 120476; Sez. I, 11 maggio 1981, Sanfilippo, ivi, n. 149340; Sez. VI, 18 ottobre 1985, Cito, ivi, n. 171450.
(4) In tal senso si sono espresse, tra le altre, Sez. II, 9 marzo 1982, Turatello, in C.E.D. Cass., n. 154880; Sez. VI, 20 febbraio 1988, Melilli, ivi, n. 178467; Sez. I, 5 maggio 1989, Creglia, ivi, n. 181759; Sez. VI, 18 gennaio 1991, Izzo, ivi, n. 187017; Sez. VI, 28 settembre 2006, Cantale, in Riv. pen., 2007, p. 156; Sez. II, 17 febbraio 2009, Agate, in C.E.D. Cass., n. 244725.
(5) C. cost., 22 giugno 1989, n. 352, in Giur. cost., 1989, I, p. 1629; C. cost., 18 gennaio 1996, n. 8, in questa rivista, 1996, p. 1375 ss.; C. cost., 20 aprile 2004, n. 121, in Giust. pen., 2004, I, c. 134.
(6) C. cost. 18 novembre 1986, n. 237, in Giur. cost., 1986, I, p. 2056 ss..
(7) Sez. I, 22 febbraio 1988, Ranco, in Giust. pen., 1989, II, c. 207; Sez. V, 14 febbraio 2007, Asquino, in C.E.D. Cass., n. 236525 (“tale circostanza non può, tuttavia, ritenersi integrata qualora la persona offesa sia, come nella specie, convivente more uxorio”).
(8) Sez. I, 7 luglio 1992, Giacometti, in Giur. it., 1993, II, c. 659; Sez. IV, 12 giugno 1987, Muller, in Riv. pen., 1988, p. 253, e 5 novembre 1982, Magini, in C.E.D. Cass., n. 159410; in senso contrario, Sez. I, 4 febbraio 1994, Di Felice, in Riv. pen., 1995, p. 921.
(9) Sez. III civ., 16 settembre 2008, n. 23725, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, p. 446 ss.: “Il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto – con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato – anche al convivente more uxorio del defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale; a tal fine non sono sufficienti né le dichiarazioni rese dagli interessati per la formazione di un atto di notorietà, né le indicazioni dai medesimi fornite alla p.a. per fini anagrafici”.
(10) In tal senso, Sez. II, 8 maggio 1990, Salviato, in C.E.D. Cass., n. 146551, che ha espressamente escluso che la posizione del convivente more uxorio potesse essere equiparata, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 649 c.p., a quella del coniuge, dichiarando altresì manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta con riferimento a questa disparità di trattamento; cfr. anche Sez. V, 14 febbraio 1986, Dodero, ivi, n. 173142, e Sez. V, 8 giugno 2005, Bassino, ivi, n. 232253, per le quali, nel caso di convivenza more uxorio, non viene meno il carattere personale di alcuni beni (“diversamente opinando, ai semplici conviventi sarebbe applicabile una sorta di presunzione di comunione dei beni, laddove anche per i coniugi la legge prevede la possibilità del regime di separazione”), ed è conseguentemente possibile ipotizzare il reato di furto ove uno dei due conviventi se ne appropri.
(11) C. cost., 12 luglio 2000, n. 352, in questa rivista, 2001, p. 28; nel medesimo senso, in precedenza, C. cost., 20 dicembre 1988, n. 1122, in Giur. cost., 1988, I, p. 5450.
(12) C. cost., 7 aprile 1988, n. 423, in Giur. cost., 1988, I, p. 1941, con nota di MARINI, “Famiglia di fatto” e disciplina dettata con l’art. 649 cod. pen.
(13) BELTRANI, La (mutevole) rilevanza della famiglia di fatto, cit., p. 2866.
(14) C. cost., sent. 25 luglio 2000, n. 352, cit.
(15) C. cost., sent. 12 gennaio 1977, n. 6, in Giur. cost., 1978, I, p. 29.
(16) Sul concetto di convivenza cui fa riferimento la citata norma, e sull’attribuzione al giudice di merito del relativo apprezzamento, cfr., Sez. VI, 23 marzo 1995, Falanga, in C.E.D. Cass., n. 202604.
(17) Si pensi alla l. n. 66 del 1996 (che, in più parti, prende in considerazione la figura del “convivente” di fatto del genitore, equiparandola a quella del coniuge: cfr. artt. 609-quater, comma 2, 609-septies, comma 4, n. 2, e 612-sexies c.p.); alla l. n. 269 del 1998, che ha introdotto l’art. 600-sexies c.p. (a norma del quale i fatti previsti da alcune norme preesistenti – artt. 600, 601 e 602 c.p. – o di nuova introduzione – artt. 600-bis e 600-ter c.p. – sono aggravati se commessi dal convivente del coniuge; alla l. n. 154 del 2001, il cui art. 5 (misure contro la violenza nelle relazioni familiari) dispone analoga equiparazione, ritenendo applicabile al convivente la misura cautelare coercitiva dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.), introdotto dall’art. 1 della stessa legge; al d.l. n. 11 del 2009, convertito nella l. n. 38 del 2009, il cui art. 7 ha introdotto l’art. 612-bis c.p. (che disciplina gli atti persecutori ed equipara, ai fini dell’esistenza di un’aggravante, la posizione del coniuge legalmente separato o divorziato a quella della “persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”, qualità il cui ampio ambito di applicazione appare idoneo a ricomprendere anche la convivenza more uxorio).
(18) Come, al contrario, isolatamente ritenuto, in relazione all’art. 384 c.p., da Sez. VI, 22 gennaio 2004, Esposito, in questa rivista, 2005, p. 2231.
(19) FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 5ª ed., 2005, p. 110, con espresso riferimento all’art. 649 c.p.
(20) BELTRANI, La (mutevole) rilevanza della famiglia di fatto, cit., p. 2866.
(21) Sez. II, 13 ottobre 2009, Cucca, in C.E.D. Cass., n. 245626: fattispecie di ricettazione di assegno bancario, il cui smarrimento era stato denunciato dal convivente more uxorio della persona offesa all’epoca del fatto.
(22) “(…) l’art. 649, comma 1, c.p. razionalmente collega l’esclusione della punibilità a rapporti di parentela, affinità, adozione e coniugio incontrovertibili ed agevolmente riscontrabili in sede di risultanze anagrafiche, anche riguardo al
l’epoca di loro instaurazione, il che non sempre avviene nella convivenza more uxorio, il cui accertamento in punto di fatto è normalmente rimesso alla dichiarazione degli stessi interessati. In altre parole, la ratio della mancata estensione della causa di non punibilità risiede in mere esigenze di certezza del diritto. Analoghe considerazioni si leggono nell’ordinanza 6 dicembre 2006, n. 444 della Corte costituzionale, sia pure relativa alla diversa fattispecie di cui all’art. 19 comma 2, lett. d) del d.lg. 25 luglio1998, n. 286”.
(23) Lo ha fatto, in giurisprudenza di merito, il Tribunale di Terni in composizione monocratica, sent. 27 febbraio 2009, in Giur. merito, 2009, p. 3089 ss.
(24) In www.cortedicassazione.it
(25) In www.cortedicassazione.it. Nel medesimo senso, cfr. anche C. eur. dir. uomo, 12 maggio 2009, Korelc c. Slovenia, ivi, sull’illiceità ex art. 8 CEDU di discriminazioni (nella specie, peraltro, ritenute insussistenti) in danno di coppie omosessuali.
(26) C. cost., 24 ottobre 2007, n. 349, in Giur. it., 2008, p. 309; conforme, 4 giugno 2010, n. 196, in Guida dir., 2010, n. 27, p. 61 ss.
(27) C. cost., sent. 24 luglio 2009, n. 239, in Giur. cost., 2009, p. 3004 ss.
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