Articolo pubblicato in Resp. civ. e prev. 2009, 9, 1905
Autrice Prof.ssa Gilda Ferrando
Ordinario di diritto privato nell’Università di Genova
Sommario: 1. Il matrimonio gay tra norme interne e diritto europeo. 2. È legittimo il divieto?
1. Il matrimonio gay tra norme interne e diritto europeo
La casistica sul rifiuto di pubblicazione del matrimonio gay si arricchisce di un nuovo, importante, tassello. Nel commentare su questa stessa Rivista la decisione della Corte di Appello di Firenze (1) che riteneva legittimo il rifiuto in quanto la legge disciplina il matrimonio come unione tra persone di sesso diverso, ma nulla dice di quello tra persone dello stesso sesso (2) mi chiedevo a chi spettasse colmare questa lacuna: al legislatore o al giudice (3)? La risposta che viene da Venezia è chiara: il giudice può contribuire in modo significativo all’innovazione del sistema.
È vero, infatti, che la funzione legislativa appartiene alle Camere (art. 70 Cost.), ma è anche vero che il legislatore, pur ripetutamente sollecitato anche a livello europeo, non pare intenzionato a intervenire. Dal canto suo il giudice, pur in mancanza disposizioni specifiche, non può astenersi dal giudicare: deve decidere il caso sulla base dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato (art. 12 disp. prel. c.c.) (4) e deve sollecitare l’intervento della Corte costituzionale ogni volta in cui la regola da applicare appaia in contrasto con la Costituzione (art. 136 Cost.).
Anche a livello internazionale il riconoscimento del matrimonio gay si gioca sul duplice binario dell’intervento legislativo e delle decisioni delle Corti (5)
Da quando scrivevamo quelle brevi note altri Stati si sono aggiunti all’elenco di quanti ammettono il matrimonio gay: alcuni con legge (Norvegia, Svezia, Vermont) altri con sentenza (Connecticut, Iowa). In molti casi, è noto, le sentenze delle Corti Supreme hanno aperto la strada al successivo intervento del legislatore (6)
In Europa la Carta di Nizza (ora parte del nuovo Trattato europeo di Lisbona) dispone all’art. 9 che “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. Non solo il diritto di sposarsi viene riconosciuto in modo disgiunto dal diritto di fondare una famiglia, diritto che viene tutelato anche al di fuori di vincoli formali, cade inoltre il riferimento alla differenza di sesso tra gli sposi, contenuto nell’art. 12 della Convenzione europea. L’art. 21, d’altra parte, nell’enunciare il principio di eguaglianza [secondo la formula, già contenuta nel Trattato di Amsterdam (art. 13)], pone espressamente il divieto di discriminazione in base alle “tendenze sessuali”.
Alcuni Stati europei hanno aperto il matrimonio a persone dello stesso sesso (Olanda, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia), altri hanno istituito partnerships riservate a coppie omosessuali (ad esempio, Germania, Regno Unito), altri ancora (come nel caso dei PACS francesi) hanno previsto una disciplina dei patti di convivenza, aperta sia alle coppie di sesso diverso, sia a quelle dello stesso sesso (7)
In Italia il riconoscimento di diritti a favore dei conviventi ha seguito il duplice binario dell’intervento “diffuso” del legislatore e della giurisprudenza(8)
Da un lato il legislatore non disciplina le unioni di fatto nel timore che in tal modo si affermino principi di ordine generale e che il matrimonio ne risulti svilito. Dall’altro, tuttavia, con interventi di settore, viene ad equiparare la posizione del convivente a quella del coniuge in una pluralità di rapporti con i privati, con i pubblici poteri, in quelli con i figli e talvolta, quando sussiste una condotta violenta, anche in quelli di coppia. Si pensi alla disciplina dei congedi parentali (l. n. 53/2000, d.lgs. n. 151/2001), all’amministrazione di sostegno (l. n. 6/2004), alla donazione di organi (l. n. 91/1999), alle misure di contrasto alla violenza in ambito domestico (l. n. 154/2001), alla procreazione medicalmente assistita (l. n. 40/2004), al nuovo codice delle assicurazioni (v. art. 129, comma 2, lett. b), l. n. 209/2005). Si pensi, infine alle nuove regole di affidamento dei figli (art. 4, l. n. 54/2006) che valgono anche nel caso di separazione dei genitori non coniugati. La nozione di convivenza va intesa in relazione alle finalità di ciascuna legge che alle volte sembra considerare la convivenza more uxorio, altre volte il fatto di vivere sotto lo stesso tetto (solidarietà tra anziani, tra parenti, ecc.). Il fattore di “genere” non pare comunque assumere rilevanza. A ciò si aggiunga che sempre più di frequente i giudici fanno ricorso al “diritto comune” del contratto o della responsabilità civile per disciplinare i rapporti tra i conviventi e nei confronti dei terzi(9)
Questa legislazione “a pioggia” potrebbe ulteriormente svilupparsi, senza tuttavia riuscire ad abbracciare lo specifico dei rapporti interni alla coppia, dei diritti e dei doveri reciproci, o direttamente connessi alla qualifica di convivente (pensioni, successione, ecc.).
La tutela della “coppia omosessuale” passa, per così dire, inosservata, in quanto inclusa in quella della “coppia” tout court. In tal modo sconta anche i limiti entro cui si ritiene ragionevole assicurare tutela alle unioni di fatto (eterosessuali). La tutela della libertà matrimoniale, intesa nella sua accezione negativa, come diritto di non contrarre matrimonio, e dunque di non assoggettarsi alla forza cogente del diritto, non consente di disciplinare la convivenza in modo eguale rispetto al matrimonio(10)
Questo limite che è giustificato per le coppie etero che, volendo, possono sposarsi, non lo è allo stesso modo per quelle gay che non possono sposarsi. Nel caso delle coppie omosessuali, la questione che sovrasta ogni altra è quella della parità di trattamento rispetto alle coppie di sesso diverso. Il riconoscimento pubblico e formale dell’unione nell’atto di matrimonio (o in altro atto di analoga natura) costituisce momento essenziale dell’attribuzione di pari dignità al rapporto di amore e solidarietà su cui essa si fonda.
Attualmente in Italia si registra una nuova proposta di legge (11).
Se l’intento è quello di avviare il dialogo con il riconoscimento di alcuni diritti di natura personale (assistenza in caso di malattia, decisioni sanitarie), o patrimoniale (assegno in caso di cessazione del rapporto, diritto di abitazione, in caso di morte) l’art. 1 vi frappone immediatamente ostacoli, fissando una definizione di famiglia esclusivamente riferita a quella fondata sul matrimonio, alla quale soltanto “sono indirizzate le agevolazioni e le provvidenze di natura economica e sociale previste dalle disposizioni vigenti”. L’iter legislativo non si prospetta né semplice né breve. Nel testo attuale, la proposta non pare soddisfare la domanda di “dignità” e di “diritti” delle persone e delle coppie omosessuali. E non pare neppure che in tal modo si attui il riconoscimento del diritto al matrimonio o ad
un’unione con questo comparabile nei termini in cui è stato ripetutamente sollecitato dal Parlamento europeo, intendendo il diritto di sposarsi come diritto fondamentale della persona che deve essere garantito a tutti senza discriminazioni di sorta compresa quella dipendente dall’orientamento sessuale (12)
2. È legittimo il divieto?
È in questo contesto che il Tribunale di Venezia solleva la questione di legittimità costituzionale “degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis c.c., nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso”.
Il Tribunale fa proprie argomentazioni da tempo circolanti in dottrina (13) e che avevo cercato di riassumere nel precedente contributo (14). In estrema sintesi mi sembrava di poter concludere nel senso che, in primo luogo, l’art. 29 non costituisce un ostacolo al riconoscimento delle coppie omosessuali in quanto, lungi dall’assicurare una tutela esclusiva alla famiglia legittima tradizionale, ha invece la diversa e fondamentale funzione di mettere la famiglia al riparo da ingerenze esterne, garantendole una sfera di autonomia nei confronti dello Stato necessaria per l’adempimento dei suoi compiti. Con l’art. 29 lo Stato si impegna a rispettare la vita familiare, limitando i propri poteri di ingerenza al suo interno (15).
In secondo luogo, il diritto di sposarsi e il diritto di fondare una famiglia costituiscono diritti fondamentali della persona (16) che la Costituzione garantisce a tutti in posizione di eguaglianza, come momento essenziale di espressione della dignità umana, senza discriminazioni di sorta, compresa quella derivante dal sesso o da condizioni personali compreso l’orientamento sessuale (artt. 2, 3).
La motivazione sviluppa argomentazioni in questa direzione. Essa muove dalla premessa per cui se è vero che “il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è né previsto, né vietato espressamente” è altresì vero che la diversità di sesso è presupposta da numerose norme che menzionano il marito e la moglie, come “attori” della celebrazione (art. 107 c.c.), protagonisti del rapporto coniugale (artt. 143 ss.), autori della generazione (artt. 232 ss.), norme che, per il loro chiaro tenore, non consentono al giudice se non a costo di una forzatura non ammissibile di “operare un’estensione dell’istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso” (17).
La regola applicata, tuttavia, appare al giudice incompatibile con i precetti costituzionali. Ne risulta infatti una lesione del diritto di sposarsi, inteso come diritto fondamentale protetto dall’art. 2 che implica la libertà di scegliere autonomamente, al riparo da qualsiasi interferenza dello Stato, la persona con cui dividere la propria vita. Solo un interesse superiore potrebbe giustificare il sacrificio di tale libertà. L’unico diritto di rilevanza costituzionale con cui il diritto della coppia omosessuale potrebbe confliggere è quello “dei figli di crescere in un ambiente familiare idoneo”. La questione del diritto di adottare appare tuttavia distinto ed ulteriore rispetto a quello di contrarre matrimonio ed estranea al caso da decidere.
Il secondo parametro costituzionale di riferimento è l’art. 3 che vieta ogni discriminazione irragionevole. Costituendo il diritto di contrarre matrimonio “momento essenziale di espressione della dignità umana”, esso deve “essere garantito a tutti senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali (quali l’orientamento sessuale)”.
La disparità di trattamento appare particolarmente evidente se si confronta la condizione dei transessuali che, una volta ottenuta la rettifica degli atti di stato civile, “possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita”. La Corte costituzionale (18) aveva a suo tempo confermato la piena legittimità costituzionale della l. n. 164/1982, una legge che si è voluta “dare carico di questi “diversi””, ponendo una normativa intesa a consentire l’affermazione della loro personalità; in tal modo collocandosi “nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori di libertà e dignità della persona umana”.
Se è vero che la legge n. 164/1982 ha profondamente mutato i connotati del matrimonio, “consentendone la celebrazione a soggetti dello stesso sesso biologico, incapaci di procreare, valorizzando così l’orientamento psicosessuale della persona”, allora si deve concludere che l’orientamento psicosessuale non può costituire motivo di discriminazione nell’accesso al matrimonio.
Il riferimento al carattere naturale della differenza di sesso tra gli sposi non sembra argomento convincente: un argomento troppo spesso usato per difendere gravi discriminazioni poi ritenute illegittime, non ultima quella tra uomini e donne ben radicata nel diritto matrimoniale italiano (19).
Né, si può aggiungere, ha attualmente fondamento l’argomento che fa leva sull’assenza della finalità procreativa tipica del matrimonio. Anche in Italia, il matrimonio civile non è più istituzionalmente orientato alla procreazione. Dal 1975 l’impotenza non costituisce causa di invalidità del matrimonio se non quando materia di errore in cui sia incorso l’altro coniuge (art. 122 c.c.). Inoltre possono contrarre matrimonio anche le persone che, avendo cambiato sesso, sono inidonee alla generazione e quelle che, a causa dell’età, tale attitudine non hanno più.
L’esegesi dell’art. 29 Cost., il riferimento al dibattito in Assemblea Costituente, all’intervento dell’on. Aldo Moro, conferma la lettura che vede in esso un baluardo per proteggere la famiglia da uno Stato che si era mostrato troppo invasivo, perché mai più si potessero ripetere asservimenti della famiglia all’ideologia politica come quelli perpetrati con l’imporre il divieto di matrimonio tra persone di razze diverse (art. 91, abr.), o un’educazione dei figli conforme al sentimento nazionale fascista (art. 147 abr.). Nulla dunque di più lontano dalla tutela di un “naturale” modo di essere della famiglia incompatibile con l’adeguamento dell’istituzione alle trasformazioni sociali, all’evoluzione dei valori e quindi anche con l’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. “L’accezione costituzionale di famiglia”, osserva il Tribunale, “lungi dall’essere ancorata ad una conformazione tipica e inalterabile”, si è, al contrario, “dimostrata permeabile ai mutamenti sociali, con le relative ripercussioni sul regime giuridico familiare”.
Ulteriore riferimento costituzionale viene individuato nell’art. 117, comma 1, Cost., che obbliga il legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Vengono invocate, come norme interposte, gli artt. 8, 12, 14 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, rispettivamente intese a garantire il rispetto della vita privata e familiare, il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, il divieto di discriminazioni (20). Il riferimento alla più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo (21), in tema di
matrimonio tra transessuali , consente ai giudici di ritenere implicito nel diritto al matrimonio quello alla libera scelta della persona con cui contrarlo. D’altra parte, gli atti delle istituzioni europee contengono ripetuti inviti a garantire forme di riconoscimento alle coppie dello stesso sesso con il matrimonio o con istituzioni con questo “comparabili” (22). Il fatto che l’art. 12 CEDU testualmente disponga che “uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia” potrebbe non essere più inteso come un ostacolo formale (23). Anche in Spagna la Costituzione (art. 32.1) dispone che “l’uomo e la donna hanno diritto di contrarre matrimonio in piena eguaglianza giuridica”. Ma questo non ha impedito la modifica del codice civile, essendo tale norma intesa nel senso che essa indica coloro che hanno il diritto di sposarsi, ma non indica con chi ci si deve sposare (24).
È un dato di fatto che a livello europeo si sono compiuti grandi passi nel riconoscimento del diritto delle coppie dello stesso sesso alla formalizzazione del loro rapporto. E sono sempre più numerosi gli Stati che ammettono il matrimonio o partnerships ad esso equiparate. In Europa, tuttavia, non sembra vincente la linea portata avanti dalle Corti USA (25) per cui solo il formale riconoscimento del diritto al matrimonio sarebbe idoneo a soddisfare il precetto dell’eguaglianza, non bastando una partnership sostanzialmente equivalente ad esso.
La via europea al riconoscimento delle unioni omosessuali è caratterizzata, invece, da una buona dose di flessibilità, suggerendo il Parlamento europeo una sorta di equivalenza tra matrimonio e altre forme di riconoscimento delle unioni, “partnership”, “patti civili di solidarietà” o simili.
In tal modo viene riconosciuta ai legislatori nazionali una certa discrezionalità nella determinazione dei modi in cui prevedere la formalizzazione delle coppie omosessuali, nel segno di un pluralismo che tuttavia non può significare mancata tutela di diritti fondamentali. Interprete di queste istanze la Carta di Nizza dispone all’art. 9 che “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. Nelle note che accompagnano il testo si precisa, infatti, che l’art. 9 “non vieta né impone la concessione di uno status matrimoniale tra persone dello stesso sesso”. Ciò si spiega alla luce del principio, contenuto nel preambolo, secondo cui la consapevolezza del “comune patrimonio spirituale e morale” si coniuga con il “rispetto delle diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell’identità nazionale degli Stati membri”. Va peraltro tenuto conto che “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti” dalla Carta “devono essere previsti dalla legge e devono rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà” (art. 52). In tal modo si pone un limite alla discrezionalità del legislatore che può variamente declinare le modalità in cui riconoscere i diritti sanciti dalla Carta, ma non può sottrarsi all’obbligo di tutelarli.
Il fatto che il processo di ratifica del trattato di Lisbona non sia ancora completato non consente di fare riferimento alla Carta dei diritti come a norma interposta nel senso del comma 1 dell’art. 117 Cost. Ma questo non impedisce di utilizzarla, secondo una prassi ormai diffusa, come strumento di interpretazione del diritto interno (26)
Se dunque il legislatore potrebbe essere ritenuto adempiente all’obbligo costituzionale di tutela della pari dignità e diritti delle persone con la previsione di una modalità di riconoscimento formale dell’unione tra persone omosessuali secondo modelli variamente declinati nei diversi Paesi europei non altrettanto possiamo dire nella situazione attuale. L’assoluta carenza di tutela derivante dal mancato riconoscimento del diritto alla formalizzazione dell’unione determina un contrasto tra l’attuale disciplina delle condizioni per contrarre matrimonio contenuta nel codice civile e i principi costituzionali che la Consulta è chiamata a rimuovere.
NOTE:
(1) App. Firenze, 27 giugno 2008, questa Rivista, 2009, 2342. In anni non recenti, v. anche Trib. Roma, 28 giugno 1980, in Giur. it., 1980, I, 2, 169, con nota di Galletto, Identità di sesso e rifiuto delle pubblicazioni per la celebrazione del matrimonio. Per il rifiuto di trascrizione in Italia di matrimonio gay celebrato in Olanda, v. Trib. Latina, 10 giugno 2005 (decr.), in Fam. dir., 2005, 411, con commenti di Schlesinger e BoniniBaraldi; e in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 86, con nota di Bilotta; App. Roma, 13 luglio 2006, in Fam. dir., 2007, 168, con nota di Sesta.
(2) Il divieto compare espressamente solo in una circolare ministeriale la quale stabilisce che “non è trascrivibile il matrimonio celebrato all’estero tra omosessuali in quanto contrario all’ordine pubblico” (Ministero dell’interno, MIACEL, 26 marzo 2001, n. 2). Più di recente tale divieto è ribadito dalla circolare del Ministero degli Interni, 18 ottobre 2007, n. 55 (in Dir. fam. pers., 2008, 549) ove, in riferimento all’applicazione della Convenzione di Vienna dell’8 settembre 1976, si rammenta che “in mancanza di modifiche legislative in materia, il nostro ordinamento non ammette il matrimonio omosessuale: la richiesta di trascrizione di un simile atto compiuto all’estero deve essere rifiutata perché in contrasto con l’ordine pubblico interno”.)
(3) Ferrando, Il matrimonio gay, il giudice il legislatore, in questa Rivista, 2009, 2344, cui rinvio per i profili civilistici della questione.
(4) Al riguardo v. Tarello, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo, Milano, 1980, 27 ss., 357 ss.; e v. inoltre le riflessioni di Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, in Iudica-Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 1993, 421 ss.
(5) Pescara, Le convivenze non matrimoniali nelle esperienze dei principali Paesi europei, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, vol. II, Rapporti personali e patrimoniali, Bologna, 2008, 967 ss.; BoniniBaraldi, Le nuove convivenze: profili internazionalprivatistici, ivi, 1109 ss..
(6) Ad esempio, Corte Suprema del Canada In Re: Same-Sex Marriage, 2004, SCC79; Corte Suprema del Sudafrica 1 dicembre 2005. Al riguardo, v. Gattuso, Costituzione e matrimonio fra omosessuali, in Il Mulino, 2008, 444; Bilotta (a cura di), Le unioni tra persone dello stesso sesso. Profili di diritto civile, comunitario e comparato, Milano-Udine, 2008; E. Ceccherini (a cura di), Sexual Orientation in Canadian Law, Milano, 2004..
(7) Una rassegna in Pescara, Le convivenze non matrimoniali nelle legislazioni dei principali Paesi europei, in Il nuovo diritto di famiglia, II, cit., 967 ss..
(8) Rinvio al mio, Convivere senza matrimonio. Rapporti personali e patrimoniali nella famiglia di fatto, in Fam. dir., 1998, 183 ss..
(9) Per un’ampia ricognizione della giurisprudenza, cfr. Balestra, La famiglia di fatto, Padova, 2004; Id., La famiglia di fa
tto, in Il nuovo diritto di famiglia, in Trattato diretto da Ferrando, vol. II, Rapporti personali e patrimoniali, cit., 1033 ss.; Bessone-Dogliotti-Ferrando, Giurisprudenza del diritto di famiglia, II, Rapporti personali e patrimoniali tra coniugi. La famiglia di fatto, VI ed., Milano, 2002, 814 ss.
(10) Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Giur. it., 1998, 1783. Le parti, osserva infatti la Corte, “nel preferire il rapporto di fatto, hanno dimostrato di non voler assumere i diritti e doveri nascenti dal matrimonio”. “La convivenza more uxorio rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza del matrimonio: da ciò deriva che l’estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti”. Per queste ragioni non sarebbe ammissibile estendere alle coppie di fatto la disciplina della separazione personale dei coniugi. Ma queste stesse ragioni non valgono ad escludere che l’assegnazione della casa familiare, in quanto disposta a tutela dell’interesse dei figli, non possa essere disposta a favore del genitore affidatario in occasione della rottura della convivenza. L’accento in passato cadeva, invece, sul privilegio che l’art. 29 Cost. avrebbe assicurato alla famiglia legittima (Corte cost., 26 maggio 1989, n. 301, in Dir. fam. pers., 1990, 474; Corte cost., 16 aprile 1980, n. 45, in Dir. fam. pers., 1980, 507; Corte cost., 7 aprile 1988, n. 404, in Giur. it., 1988, I, 1, 1627; Corte cost., 7 aprile 1988, n. 423, in Foro it., 1988, I, 2514; fino a Corte cost., 18 gennaio 1996, n. 8, in Giur. it., 1996, I, 281)..
(11) Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi, Camera dei deputati, n. 1756/2008 (d’iniziativa Barani, De Luca ed altri), nota come Di.Do.Re..
(12) Risoluzioni 8 febbraio 1994, 16 marzo 2000, 4 settembre 2003; Risoluzione 14 gennaio 2009. Al riguardo si è parlato di una progressiva “opera di persuasione istituzionale”: V. Pignatelli, Nozione di matrimonio e disciplina delle coppie omosessuali in Europa, in Foro it., 2005, V, 260 ss..
(13) Cfr. in modo particolare Messinetti, Diritti della famiglia e identità della persona, in Riv. dir. civ., 2005, I, 137; Romboli, Introduzione, in Foro it., 2005, V, 256 ss.
(14) V. nota 3.
(15) In luogo di molti, v. Bessone, Principi etico-sociali, in Commentario della Costituzione, diretto da Branca, Bologna-Roma, 1976, sub art. 29, 47 ss.; Sandulli, sub art. 29, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Cian-Oppo-Trabucchi, vol. I, Padova, 1992, 3 ss., 7 ss..
(16) Ad esempio, Corte cost., 12 novembre 2002, n. 445; Sez. Un. civ., 6 dicembre 1985, n. 6128, in Foro it., 1986, I, 396, con nota di E. Quadri, in Giur. it., 1986, I, 1, 672, con nota di Barbiera. V. anche App. Roma, 18 ottobre 2006, in Fam. dir., 2007, 476.
(17) Al riguardo, v. Zanini, Formalità preliminari al matrimonio, in Cendon (a cura di), La famiglia. I. Matrimonio – Regime primario, vol. I, Il diritto privato nella giurisprudenza, Torino, 2000, 123; A. Benedetti, Il procedimento di formazione del matrimonio e le prove della celebrazione, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Matrimonio e famiglia, (a cura di) Ferrando-Fortino-Ruscello, Milano, 2002, 544 ss.; Ferrando, Il matrimonio, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 2002, 319 ss.; Barbiera, Il matrimonio civile (artt. 79-142 c.c.), Bari, 2005; Palmeri, Il procedimento di formazione del matrimonio e le prove della celebrazione, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, I, Matrimonio, separazione, divorzio, Bologna, 2007, 161 ss..
(18) Corte cost., 23 maggio 1985, n. 161.
(19) La Corte Suprema del Sudafrica (1 dicembre 2005) ha ritenuto incostituzionale il divieto di matrimonio omosessuale riconoscendo che “l’antichità di un pregiudizio non è una buona ragione per la sua sopravvivenza”. In un Paese che solo in anni relativamente recenti ha superato l’apartheid ed abolito il divieto di matrimonio tra bianchi e neri, la Corte non manca di notare che “quando le condizioni umane mutano e le idee di giustizia e di equità evolvono, anche le concezioni dei diritti assumono nuova trama e significato”.
(20) Cfr. Long, Il diritto italiano della famiglia alla prova delle fonti internazionali, Milano, 2006; BoniniBaraldi, Le nuove convivenze, tra discipline straniere e diritto interno, Milano, 2005.
(21) Goldwin c. Regno Unito, 17 luglio 2002. La Corte, pur riferendo il diritto di sposarsi ad un uomo e una donna, evidenzia la necessità di intendere questi termini in un’accezione evolutiva, non ancorata esclusivamente a caratteri biologici, capace dunque di comprendere chi ha subito una modificazione di sesso. Sui diritti delle coppie omosessuali, v. anche Karner c. Austria, 24 luglio 2003, e più di recente E.B. c. Francia, Grande Camera, 22 gennaio 2008. Le sentenze della Corte EDU possono leggersi nel sito ufficiale della Corte, http://www.echr.coe.int. Da ultimo, la Corte di Giustizia (Corte giust., Grande sezione, 1 aprile 2008, C-267/06, Tadao Maruko c. Versorgungsanstalt der deutschen Buhnen, in Corr. giur., 2008, 866) condanna la Germania per la normativa che negava le prestazioni pensionistiche ai superstiti a favore del partner legato da unione solidale (legge 16 febbraio 2001).
(22) Ultima la Risoluzione 14 gennaio 2009 che ha invitato gli Stati membri che si sono dotati di una legislazione relativa alle coppie dello stesso sesso a riconoscere le norme adottate da altri Paesi e quelle che non lo hanno ancora fatto a eliminare le discriminazioni che incontrano le coppie in ragione del proprio orientamento sessuale.
(23) L’art. 12 CEDU viene generalmente inteso come riferito alla famiglia coniugale costituita da un uomo e da una donna: v. Long, Il diritto italiano della famiglia, cit.; BoniniBaraldi, Le nuove convivenze, cit., 1120 ss.
(24) Al riguardo, v. Carrillo, La legge spagnola sul matrimonio tra omosessuali e i principi costituzionali, in Foro it., 2005, IV, 264; EspositoGomez, La legge spagnola sul matrimonio tra omosessuali e la Costituzione spagnola, ibidem, 268..
(25) Corte Suprema del Massachussets Goodrige v. Department of Public Health, 18 novembre 2003, sulla quale v. Marella, Il matrimonio gay sbarca sulla East Coast, in www.infoleges.it; Corte Suprema della California Re: Marriage Cases, 15 maggio 2008. La traduzione dei passi essenziali si legge in Fam. dir., 2008, 761, con nota di Faletti. Sull’esperienza americana, v. Montalti, Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è un diritto fondamentale? Due recenti pronunce in Massachussets dopo Lawrence v. Texas, in Pol. dir., 2004, 687 ss.
(26) Rinvio al mio, Matrimonio e famiglia: la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed i suoi riflessi sul diritto interno, in Iudica-Alpa (a cura di), Costituzione europea e interpretazione della Costituzione italiana, Volume per i 50 anni della Corte costituzionale, Napoli, 2006, 131 ss..
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