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Riflessioni di Fabio Regis, autore de L’amore Forte (2008)
Per una curiosa coincidenza, pochi giorni prima dell’anniversario della liberazione dal fascismo, il Tribunale di Venezia ha accolto il ricorso di due cittadini che si sono visti rifiutare dal loro Comune le pubblicazioni di matrimonio per il solo fatto di essere una coppia dello stesso sesso. E non è certamente la prima volta che una corte costituzionale viene investita di una decisione interpretativa di questo genere. Basti ricordare la sentenza Goodridge (2003) con la quale la Corte suprema del Massachussets ha dato l’avvio al riconoscimento giurisprudenziale del diritto al matrimonio per le persone dello stesso sesso. In precedenza, tale riconoscimento era avvenuto per via legislativa (per la prima volta in Olanda nel 2001). L’acceso dibattito su una concezione di matrimonio che sia veramente compatibile col rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tutti i cittadini arriva dunque anche in Italia, mettendo a confronto favorevoli e contrari su un terreno estremamente complesso, che tocca le questioni fondamentali del diritto, della teologia, dell’antropologia e di numerose scienze umani e sociali. Chi si oppone al riconoscimento del matrimonio civile fra omosessuali ha spesso pochi e inconsistenti argomenti. Ma, altrettanto spesso, anche i favorevoli esprimono argomentazioni vaghe e poco convincenti. I giudici e i legislatori, laddove diano il riconoscimento, si ispirano per lo più ai principi del liberalismo classico e formale. Il liberalismo formale spiega perché il riconoscimento deve essere dato, ma le implicazioni culturali e sociali di tale riconoscimento sono per lo più lasciate al radicalismo. Pertanto, risulta particolarmente allettante per gli intellettuali cristiani conservatori denunciare intenti sovversivi nelle tesi dei radicali e convincere facilmente il pubblico di massa, non necessariamente cristiano ma tendenzialmente orientato al moderatismo e al conservatorismo, a rifiutare le proposte più rivoluzionarie dell’assetto sociale e culturale esistente. In questo contesto, le opinioni dissenzienti rispetto al paradigma conservatore dominante espresse dagli intellettuali di ispirazione cristiano-liberale erano fino a qualche tempo fa inesistenti. Ora stanno timidamente emergendo. Questi contributi hanno il pregio di faciltare il dialogo coi cristiani conservatori perché la comunanza di valori e visioni di fondo riduce le diffidenze reciproche. Ma hanno anche il pregio di valorizzare le intuizioni del liberalismo formale, perché ne colmano i vuoti e ne costituiscono riferimenti fondazionali su cui è possibile ottenere un consenso sociale sufficientemente ampio. Ne siano esempio gli interventi di numerosi teologi sulla rivista Concilium 1/2008 («Le omosessualità») e, in Italia, gli interventi di numerosi intellettuali sulla rivista dei gesuiti Aggiornamenti sociali 6/2008 («Riconoscere le unioni omosessuali? Un contributo alla discussione»). In questo articolo, presento una serie di controargomentazioni alla rilevante critica cattolico-conservatrice al matrimonio “gay” pubblicata dal moralista cattolico David Crawford in un articolo sul numero 33/2006 dell’edizione americana della rivista Communio dal titolo: «Androginia liberale: il “matrimonio gay” e il significato della sessualità nel nostro tempo». Di seguito, in grassetto, gli estratti dell’articolo di Crawford, commentati con controargomenti. …Qualsiasi cosa sia il nuovo diritto al matrimonio, esso non può essere una mera estensione di uno stesso diritto già esistente. Il modello liberale è instabile perchè contiene una contraddizione interna: chiede l’assimilazione all’esistente istituto del matrimonio civile, ma, allo stesso tempo, la sua antropologia di base sovverte radicalmente o svuota il significato di quell’istituto. Crawford sostiene che sia contraddittoria la promessa di assimilare il riconoscimento delle coppie omosessuali nell’istituto matrimoniale, tradizionalmente concepito per le coppie eterosessuali, senza cambiare la concezione di matrimonio. Questa tesi è vera solo se si assume che la concezione tradizionale di matrimonio sia iscritta in qualche principio metafisico, immutabile, prepolitico, relativo al “diritto morale naturale” o relativo alla Creazione. Sebbene la soluzione matrimonialista risulti essere, a parere di molti, quella ragionevolmente più incline alla soddisfazione del principio di uguaglianza, sulla base dell’attuale -non unanime- consenso appare sufficientemente ragionevole la soluzione dell’istituto sostitutivo equivalente. In questo modo sarebbe soddisfatto in modo sostanziale il principio di uguaglianza, senza modificare la concezione tradizionale di matrimonio, che resterebbe riservata in via esclusiva, almeno temporaneamente, alle coppie eterosessuali. Per assicurare il pari riconoscimento della coppia dello stesso sesso, metafisicamente radicato nella tutela dell’amore forte che è tipico del matrimonio tradizionale, l’istituto sostitutivo equivalente dovrebbe assumere, sul piano civile, la forma di partenariato prevista ad esempio dall’ordinamento britannico. Sul piano religioso si potrebbe fare riferimento alla benedizione del covenant riconosciuto dalla diocesi anglicana di New Westminster (Canada). Il matrimonio tradizionale rimarrebbe un “privilegio” puramente formale delle coppie eterosessuali, per ragioni storico-culturali. Tale “privilegio” rimarrebbe in vita così come in Inghilterra sopravvivono l’aristocrazia e la Corona, non per istituzionalizzare una violazione del principio di uguaglianza, ma per dar conto di una eredità storica e culturale che ha attraversato centinaia di anni e nella sua tradizionale concezione ha certamente contributo al bene comune, salvo eccezioni. La differenza tra matrimonio e partenariato sarebbe, dunque, metafisica: il primo sarebbe riservato all’unione di un uomo e una donna finalizzata all’ideale contesto procreativo utile alla costituzione di una famiglia tradizionale. Il secondo sarebbe aperto alle coppie, sia eterosessuali, sia omosessuali, che intendono fondare la loro unione sull’impegno sentimentale e di soccorso reciproco, indipendentemente dal bene comune che intendono perseguire. A queste condizioni, il partenariato appare inclusivo dello stesso matrimonio tradizionale. Se il part Quindi cade la tesi di Crawford secondo cui la nuova concezione di matrimonio non si assimila in quella tradizionale. La nuova concezione sarebbe semplicemente più inclusiva, senza togliere “metafisicamente” nulla alla concezione tradizionale, che diventerebbe una delle possibili varianti. Questo è il motivo per cui si può ragionevolmente ritenere che il “partenariato” rappresenti una concezione certamente inclusiva ed equa di matrimonio, libera da qualsiasi privilegio, e, parimenti, si può ragionevolmente ritenere che il “partenariato” come istituto sostitutivo equivalente sia sostanzialmente ridondante rispetto all’istituto matrimoniale, laddove si applichi al matrimonio quella concezione inclusiva ed equa tipica appunto del partenariato.
Il liberalismo nella versione “debole”, vale a dire il liberalismo puramente formale, non può, da solo, risolvere le grandi questioni etiche del nostro tempo, come il riconoscimento del diritto al matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Opporre il solo principio di libertà alle critiche dei contrari al riconoscimento è una strategia debole, che si espone facilmente a critiche. Il liberalismo non è neutrale rispetto alle grandi questioni etiche. La versione forte del liberalismo non si limita a definire l’ampiezza dei diritti e delle libertà, ma riconduce questa definizione ad una etica ultima, che può essere di matrice religiosa (generalmente cristiana) o laico-illuminista. Secondo Crawford, l’etica ultima che punta a ridefinire la concezione di matrimonio affinchè non sia più riservato alle sole coppie eterosessuali è l’etica nichilista e radicale, ovvero, in fondo una non-etica. Secondo Crawford il liberalismo formale lascia al nichilismo radicale il compito di sostanziare o, meglio, di decostruire in modo sostanziale il matrimonio tradizionale, sovvertendone le fondamenta. Crawford cita a questo proposito il pensiero dell’intellettuale radicale lesbica Adrienne Rich, secondo cui il matrimonio è uno stupro istituzionalizzato che permette all’uomo di assoggettare la donna e renderla schiava e, per questo, va categoricamente rifiutato. Se è vero che, nella storia, il matrimonio è stato per secoli un contratto tra uomini per disporre delle donne come di oggetti, il radicalismo della Rich tende ad ignorare l’evoluzione moderna dell’istituto matrimoniale, oggi concepito come espressione della libertà e dell’amore delle parti in causa. Per Crawford, il liberalismo formale lascia al radicalismo nichilista la definizione della concezione di matrimonio, determinandone così la fine. Perciò serve un’altra versione forte del liberalismo da confrontare al conservatorismo. Una versione molto più scomoda delle provocazioni di Adrienne Rich. Serve il liberalismo forte di matrice cristiano-liberale. … il liberalismo centra il suo sostegno al matrimonio gay sull’idea di una equivalenza, seppur distinta, tra omosessualità e eterosessualità. Concettualmente esse sono possibili alternative del desiderio umano. […] Comunque, sia che possiamo, sia che non possiamo qualificare moralmente queste alternative, rimane il fatto che il loro parallelismo implica una equivalenza di base. Contrapporre l’etica sessuale fondata sulla procreazione all’etica sessuale fondata sul piacere è fuorviante. L’etica della relazione di coppia si basa su amore romantico, amore di dedizione, assenza di sfruttamento, guarigione dall’egoismo, prontezza al sacrificio per l’altro, contributo al bene comune presente e futuro dell’umanità. Ciascuno nel proprio ordine, eterosessuali o omosessuali, possono scegliere di vivere le loro relazioni di coppia secondo questi principi, ciascuno secondo la propria vocazione. A queste condizioni, l’intimità e il piacere che ne deriva sono espressione dell’amore unitivo che riguarda indistintamente tutte le coppie (eterosessuali e omosessuali). Non perché accomunate esclusivamente dal piacere, tutte le relazioni, anche eterosessuali, diventano “gay”. Non perché accomunate dal piacere alle coppie omosessuali, le coppie eterosessuali, rinunciando come spesso capita alla procreazione, diventano a loro volta “omosessuali”. Molte coppie eterosessuali, nell’amarsi e nel darsi piacere, non rinunciano affatto a farsi famiglia, a procreare, a tentare di essere bravi genitori ed educatori, pur tra mille difficoltà. Questo è certamente un modo, il loro modo, di contribuire al bene comune presente e futuro dell’umanità, che va riconosciuto e sostenuto con politiche adeguate di sostegno alle famiglie. E allo stesso tempo, esistono coppie omosessuali che operano, secondo la loro vocazione, per il bene comune presente e futuro dell’umanità, destinando tempo, lavoro, risorse e capacità agli altri, inclusi certamente i bambini e gli svantaggiati, e anch’esse meritano di essere riconosciute e sostenute adeguatamente. Al contrario, è il sessismo maschilista tenacemente radicato all’interno della Chiesa cattolica che rende l’organizzazione ecclesiastica, ad un livello profondo, “omo”-sessuale. Non dunque, alle coppie eterosessuali o omosessuali, ma alle relazioni intra-ecclesiastiche va rivolta la critica di essere autoreferenziali, chiuse, fondate su una antropologia sicuramente non “gay”, ma commiserevole, triste, che priva di sana intimità e che non offre la possibilità di vivere legittimamente l’amore romantico. l giorno in cui sarà scardinata questa triste antropologia ecclesiastica “omo”-sessuale, sarà forse il giorno in cui anche la teoria del disordine morale sarà rimpiazzata e, allora, non solo i gay e le lesbiche, ma anche gli eterosessuali, potranno godere di un pieno riconoscimento delle loro relazioni d’amore all’interno della Chiesa cattolica. “l’affermazione del vice primo ministro spagnolo secondo cui la nuova legge [sul matrimonio gay] “non obbliga nessuno a fare ciò che non vuol Nell’attuale contesto di consenso crescente ma limitato, obbligare tutti i cittadini e tutti i fedeli ad accettare una concezione del matrimonio ancora rifiutata da un numero non trascurabile di persone potrebbe essere paradossalmente illiberale. Se da un lato è sommamente giusto concretizzare fin da subito il principio di uguaglianza, dall’altro lato l’obiezione di coscienza dovrebbe essere garantita fino a che il consenso non sarà sufficientemente ampio. Di conseguenza, in virtù del principio liberale del facoltativo, dovrebbe essere presa in considerazione la possibilità di non obbligare sindaci, ufficiali di stato civile, parroci o pastori a celebrare un matrimonio fra persone dello stesso sesso, se questo dovesse avvenire contro le loro radicate opinioni personali, atteso che tali opinioni siano inesorabilmente sulla via del declino. “il punto di partenza antropologicamente fondamentale dell’alterità di uomo e donna non è più disponibile; è rimpiazzato da quello del possibile orientamento – chiamato “matrimonio eterosessuale” o “matrimonio fra persone di sesso opposto” – che pone al centro il concetto amorfo di “impegno sentimentale”. In questo passaggio, Crawford esprime una visione vetero-matrimonialista ampiamente screditata dalla modernità. Fondamento del matrimonio non sarebbe l’amore forte, da cui nasce l’impegno sentimentale, ma la semplice differenza sessuale in quanto tale, presupposto alla gestione di interessi famigliari privati, soprattutto patrimoniali. Secondo questa concezione, un uomo può sposare una donna (o viceversa) anche in assenza di amore reciproco. Addirittura, si potrebbe facilmente arrivare a giustificare l’assurdo morale di un uomo omosessuale che sposa una donna eterosessuale (o viceversa) per puro interesse. “Poiché l’idea degli orientamenti alternativi ha tacitamente ridotto il corpo differenziato per sessi a condizioni materiali e circostanze di determinati atti sessuali, ha anche ridotto il corpo a un livello meramente materiale e dunque subpersonale della realtà. In effetti, ha messo il corpo fuori dalla persona in quanto tale. In questo modo, il corpo si è svuotato del suo significato intrinseco e della sua relazione con la persona stessa. La persona in quanto tale è stata resa essenzialmente androgina”. L’uso fatto da Crawford del termine “androgino” è improprio e fuorviante. L’androginia è una espressione di genere (gender expression) che non va confusa con l’orientamento sessuale (sexual orientation) o con l’identità di genere (gender identity). L’espressione di genere fa riferimento al percepito sensoriale (come si atteggia tipicamente un uomo, come si atteggia tipicamente una donna) o al ruolo di genere (gender role) culturalmente mediato (che cosa fa, deve fare o dovrebbe fare l’uomo, che cosa fa, deve fare o dovrebbe fare la donna). L’androginia non va neppure confusa con forme di intersessualismo genetico (es. ermafroditismo). L’androginia è una espressione di genere che fonde elementi di “maschile” e “femminile” per ciò che attiene al percepito sensoriale e al ruolo di genere culturalmente mediato. Forme di androginia ampiamente note sono il glam (anni Ottanta) e alcune forme di metrosessualismo contemporaneo. L’androginia è talvolta oggetto di stigma. Infatti, l’omofobia, specie nelle sua forme più virulente e volgari, è diretta non tanto verso l’orientamento omosessuale e la sua espressione, quanto contro l’espressione di genere non sensorialmente o culturalmente conforme, sia involontaria (effeminatezza del maschio, mascolinità della donna), sia volontaria (eccentricità, travestitismo, trasformismo), arrivando alla transfobia, cioè all’odio per chi manifesta una identità di genere non conforme al sesso biologico (transessuali, transgender). Molto spesso “frocio” non è chi mostra pubblicamente affetto e amore per una persona del proprio sesso, ma l’uomo effeminato o, comunque, manifestante una espressione di genere non conforme con il tradizionale percepito sensoriale o con il tradizionale ruolo di genere del maschio culturalmente mediato. “Frocio” allora non è un epiteto col quale si disprezzano i gay, ma i metrosessuali, anche eterosessuali. Analogo stigma colpisce le lesbiche se mostrano una espressione di genere mascolina. Questo è il motivo per cui le più importanti organizzazioni che difendono i diritti delle minoranze sessuali, chiedono la protezione non solo dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, ma anche dell’espressione di genere, indipendentemente dal sesso biologico, dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Notoriamente, Ratzinger e i teorici del disordine morale non osteggiano soltanto il paradigma dell’orientamento sessuale, ma anche il paradigma dell’identità di genere e dell’espressione di genere. Ratzinger ha dichiarato: “la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e donna e chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato. […] Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine “gender”, si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal Creatore. L’uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda” (Discorso alla Curia romana, 22-12-2008). Questa dichiarazione non sembra semplicemente ignorare l’esistenza dell’intersessualismo genetico, ma sembra offensiva per chi esprime naturalmente e involontariamente una espressione di genere non conforme al tradizionale percepito sensoriale o al ruolo di genere culturalmente mediato, indipendentemente dal sesso biologico, dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Presi alla lettera, i teorici del disordine morale non vedono altro che mostruosità in un’ampia gamma di minoranze sessuali, che va dagli intersessuati genetici, ai transessuali, ai transgender, passando per i ragazzi effeminati (siano essi etero o gay) e per le ragazze mascoline (siano esse etero o lesbiche). Naturalmente, se questa è l’ideologia della differenza sessuale proclamata dai teorici del disordine morale, essa non si limita ad essere evidentemente omofobica e transfobica, ma anche e soprattutto profondamente sessuofobica.
… L’identità della persona non è più radicata nella sua mascolinità o femminilità, ma nel suo “orientamento”. L’identità della persona ha molteplici radici. Fra di esse c’è sicuramente la sessualità, intesa sia nel senso di sesso biologico (maschio, femmina, intersessuati genetici), sia nel senso di identità di genere (uomo, donna, e sfumature), sia nel senso di orientamento sessuale (eterosessuale, omosessuale, bisessuale), sia nel senso di espressione di genere (maschile, femminile, androgino), sia nel senso di espressione culturale di identità sessuale (etero, gay, trans, ecc.).
… Come risultato, l’orientamento è diventato centrale, e la differenza sessuale è ridotta alle condizioni materiali e alle circostanze di determinati atti sessuali. Anche quando un individuo desidera e si relaziona con una persona del sesso opposto, questo non è dovuto alla naturale corrispondenza di maschile e femminile; è dovuto al suo “orientamento”, che è “eterosessuale”, anzichè “omosessuale”. La relazione eterosessuale, al pari di quella omosessuale, si instaura in virtù dell’orientamento sessuale, non della differenza sessuale. Ma la differenza sessuale tipica della relazione eterosessuale non ha meno centralità nell’espressione della ses Pertanto è falso ritenere che la differenza sessuale (o la coincidenza sessuale nel caso degli omosessuali) sia un fattore sessuale meno rilevante dell’orientamento sessuale, ed è falso ridurla ad una mera circostanza di determinati atti sessuali. La differenza sessuale si riduce a condizioni meramente materiali in due casi: nel caso di una eterosessualità compulsiva, estranea alla relazione d’amore, e nel caso di una relazione fra un partner eterosessuale e un partner omosessuale del sesso opposto, che, quand’anche non sia compulsiva, è certamente estranea ad ogni forma di amore romantico. …. Questo cambiamento degrada di fatto il significato della differenza sessuale – l’imprescindibile corrispondenza dei corpi maschile e femminile – verso un valore subpersonale e puramente materiale. La naturale correlazione fra maschile e femminile non è più centrale nella sessualità. La differenza sessuale resta centrale nell’ordine della relazione eterosessuale. La “naturale corrispondenza dei corpi maschile e femminile” ha in sè una potenzialità sociale, più precisamente procreativa, che trascende le pure circostanze materiali dell’intimità sessuale nella coppia eterosessuale, e che va tutelata appositamente. … Gli atti sessuali contano su un corpo per la loro possibilità. Ma il corpo è “sessuale” nella misura in cui è maschile o femminile. Molti pensano che il più importante organo sessuale sia il cervello, che non è apparentemente differenziato nelle sue funzioni essenziali in base al sesso biologico delle persone. Per l’espressione in atto della sessualità, non serve solo un corpo, che sia maschile o femminile o intersessuato, ma serve una motivazione, un desiderio, un’attrazione, un innamoramento che hanno origine nel misterioso ambito dell’orientamento sessuale. Serve inoltre una volontà deliberata, cioè un comportamento sessuale che, per essere morale, dovrebbe essere coerente con l’orientamento sessuale. A meno di ritenere che l’intimità sessuale possa lecitamente avvenire al di fuori dell’amore (romantico o coniugale) che unisce la coppia (sia essa etero- o omosessuale). …. Il paradosso è particolarmente evidente con riferimento agli atti omosessuali, che dipendono dalla polarità sessuale del corpo per la loro possibilità, ma al tempo stesso negano ogni profondo significato di quella polarità. Questo paradosso suggerisce che gli atti e i desideri omosessuali sono infatti parassitari rispetto alla corrispondenza corporea di maschile e femminile. Questo enunciato è illogico e potenzialmente offensivo. Di “parassitario” c’è solo l’omofobia con la sua subdola capacità di attecchire anche in menti fondamentalmente buone, acute, colte e mediamente ragionevoli. L’omofobia è “parassitaria” perché è in grado di nutrirsi proprio dell’acume, della capacità retorica e persino della cultura teologica di chi intende teorizzare l’inferiorità degli omosessuali e delle coppie dello stesso sesso rispetto agli eterosessuali e alle coppie da essi costituite. … i tentativi di alcune coppie gay e lesbiche di avere figli attraverso le “tecnologie riproduttive” sono altrettanto parassitari rispetto all’irriducibile originalità della polarità maschile e femminile. Anche qui il termine “parassitario” è evidentemente offensivo e sottilmente omofobico. Infatti, il ricorso alle “tecnologie riproduttive” non riguarda soltanto alcune coppie omosessuali, ma riguarda principalmente le coppie eterosessuali. Se da un lato, va depurato l’enunciato dalla deformazione omofobica, dall’altro lato occorre porre dei paletti. Da un punto di vista cattolico, la divergenza di opinioni sull’etica dell’orientamento sessuale non dovrebbe porre in discussione l’etica della procreazione. Essa dovrebbe idealmente compiersi nell’ambito di un quadro genitoriale di tipo eterosessuale, con metodi naturali, in modo che i figli abbiano, per quanto possibile, un papà e una mamma. A differenza dell’orientamento sessuale, le cui varianti sono in ogni caso fisiologiche e naturali, le “tecnologie riproduttive” a cui potrebbero accedere sia le coppie eterosessuali, sia le coppie omosessuali, non sembrano trovare un fondamento di ragionevolezza morale se si pensa a quanti bambini orfani cercano genitori per affidi e adozioni. La stessa mancanza di ragionevolezza morale è riscontrabile nella discriminazione dei single e delle coppie omosessuali in materia di affidi e adozioni. Inoltre, il rischio insito nelle “tecnologie riproduttive” è che si giunga a una eugenetica senza regole e alla selezione delle caratteristiche genetiche dei figli in base ai gusti totalmente arbitrari dei genitori, così come si sceglie il colore dell’automobile o il menù al ristorante. Infine, non vanno confusi i diritti delle coppie con i diritti dei bambini. Il riconoscimento della coppia dello stesso sesso non ha nulla a che vedere con la concessione di diritti civili alle coppie in questione in merito alla possibilità di avere bambini in adozione o affido. … dal momento che il corpo è stato ridotto a condizioni materiali e circostanze personali, il desiderio sessuale rappresenta una perdita di libertà di fronte a un arbitrario e materialista ordine di cose. Il desiderio sessuale, nel senso di attrazione, è involontario nell’ambito dell’orientamento sessuale, ma la sua concretizzazione non è soggetta a coazione o coercizione. Solo a queste condizioni vi sarebbe una perdita di libertà. E non c’è differenza fra eterosessuali e omosessuali. Sia gli uni che gli altri godono di quella “fondamentale libertà che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità”. Quasi sempre è possibile scegliere come agire in base a desideri e istinti. Se questo è vero, allora si può concordare che la compulsività sessuale, la ricerca di un piacere ossessivo fine a se stesso, sistematicamente estraneo alla relazione d’amore riduce il corpo “a condizioni materiali e circostanze personali” e, in questo modo “il desiderio sessuale rappresenta una perdita di libertà di fronte a un arbitrario e materialista ordine di cose”. Ma questo, sia ben chiaro, è un rischio che possono correre tutti, sia gli omosessuali, sia gli eterosessuali.
Materiali correlati: David S. Crawford, Liberal androgyny: “gay marriage” and the meaning of sexuality in our time, Communio: International Catholic Review, n.33, Summer 2006 (file PDF) David S. Crawford, Androginia liberale: il “matrimonio gay” e il significato della sessualità nel nostro tempo, traduzione italiana di ‘Liberal androgyny: “gay marriage” and the meaning of sexuality in our time’ (File PDF) |