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Quel travestito non offende il pudore

13 Febbraio 2009
   BOLZANO. Il comune senso del pudore non è più quello dei finanzieri. Ne sa qualcosa un transessuale che - a seguito di un verbale redatto nel 2006 dalle Fiamme Gialle - era stato condannato ad un mese di carcere (convertito in una sanzione pecunaria) per essere stato sorpreso a prostituirsi in slip e spolverino trasparente, una «mise» giudicata moralmente censurabile. Il travestito si è opposto ed il giudice Carlo Busato lo ha assolto «perchè il fatto non sussiste». La vicenda risale al 4 marzo 2006, quando un transessuale austriaco - che dalla fine degli anni Novanta fa la spola due volte a settimana tra Bolzano e Innsbruck - è stato fermato da una pattuglia della Guardia di Finanza, che lo ha sorpreso a prostituirsi in via Macello con una mise ritenuta offensiva per il comune senso del pudore: un paio di «slippini» ed uno spolverino trasparente. Ad indurre gli agenti a sanzionare il travestito sembra sia stata anche la reazione dell’uomo - che inizialmente pare si sia rifiutato di dare le sue generalità - sorpreso dall’eccessiva attenzione nei suoi confronti. «Sono almeno dieci anni che vengo nel capoluogo altoatesino due volte a settimana e sono conosciuto tanto dai poliziotti quanto dai carabinieri, che non hanno mai avuto nulla da eccepire sul mio comportamento. Anche per questo, quella sera di 3 anni fa, non ho capito esattamente di cosa mi accusasse le pattuglia intervenuta ai Piani». Il travestito d’oltre Brennero - noto alle cronache giudiziarie per essere stato risarcito con 1.500 euro dopo aver fatto causa ad alcuni giovani che lo aveva picchiato (dopo un incidente stradale) proprio per il suo orientamento sessuale - si è stupito ancora di più quando gli è stato notificato il decreto penale di condanna per aver infranto l’articolo 527: atti osceni in luogo pubblico. Come spiega Karl Pfeifer, legale dello studio Brandstätter che ha assistito il trans, «non c’erano i presupposti per contestare questo tipo di reato, per ravvisare il quale avrebbe dovuto esserci un’estrinsecazione dell’istinto sessuale». Secondo Pfeifer, in buona sostanza, il suo cliente avrebbe potuto essere condannato per atti osceni solo se fosse stato sorpreso in atti di autoerotismo in un luogo pubblico o mentre consumava un rapporto in auto con un cliente. «Tenuto conto del comune senso del pudore, che nel corso degli anni è cambiato profondamente, era davvero difficile condannare il trans per il semplice fatto di essere vestito con abiti femminili, seppur succinti». L’avvocato Pfeifer ha chiesto, durante l’udienza, l’applicazione dell’articolo 129 del codice di procedura penale, in base al quale in ogni stato e grado del processo il giudice - se il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso o il fatto non costituisce reato - può emettere la sentenza senza nemmeno sentire i testi. Ora, tra un mese, sarà curioso leggere le motivazioni.