Periodicamente ritorna, come un fenomeno carsico, un gran dibattito sulla legge anagrafica e sempre più spesso capita di sentire amenità e sciocchezze di ogni sorta. Tra queste merita una menzione speciale quella di alcuni cattedratici che hanno voluto farci sapere, in modo apocalittico, che la legge anagrafica apre in Italia le porte alla poligamia. Spero che queste pagine serviranno a fugare ogni dubbio anche su questo millantato rischio e che si conoscano meglio i Registri delle unioni civili e le attestazioni di famiglia affettiva.
In Italia l’anagrafe è regolata dalla legge n. 1228/54 (in seguito per brevità indicata come la « Legge »), nonché dal suo regolamento di attuazione approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 223/89 e successive modificazioni (in seguito per brevità il « Regolamento »).
L’anagrafe è l’ufficio deputato alla tenuta dei registri della popolazione comunale alla cui guida è posto il sindaco, sotto la vigilanza del Ministero dell’Interno e dell’ISTAT, che ha tra i suoi compiti principali quello di mantenere costantemente aggiornato il numero degli abitanti che vivono stabilmente nel territorio comunale attraverso la loro registrazione.
La registrazione della popolazione è funzionale a molteplici attività amministrative come, a mero titolo di esempio, quella della revisione semestrale delle liste elettorali comunali e l’operazione di confronto in occasione dei censimenti decennali.
La Legge organizza l’anagrafe in schedari che raccolgono in ordine alfabetico le schede individuali di tutti gli abitanti stabilmente residenti nel territorio comunale, nonché in ordine numerico progressivo le schede di famiglia e di convivenza. Ciascuna di queste ultime registra una di quelle che la dottrina giuridica chiama « situazioni di fatto» ovvero raggruppa gli abitanti del comune in base al criterio principale del luogo di abitazione.
È così definito con chiarezza dal Regolamento il concetto di « famiglia anagrafica » quale formazione costituita da persone che coabitino e sono legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela ed anche solo da « vincoli affettivi », nonché quello di « convivenza anagrafica » quale insieme di persone normalmente e abitualmente coabitanti nello stesso comune per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena, e simili.
Le persone addette alla famiglia anagrafica o alla convivenza anagrafica per ragioni di impiego o di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono considerate rispettivamente membri della famiglia, se sussistono vincoli affettivi, o altrimenti membri della convivenza, purché non costituiscano famiglie a sé stanti. Infatti le persone sole o quelle che pur coabitando con altri non sono legate a questi da nessun vincolo o per nessun motivo, costituiscono famiglia anagrafica a sé stante (art. 4, comma 2 reg.). Le persone ospitate anche abitualmente in alberghi, locande, pensioni e simili non costituiscono convivenza anagrafica.
Le definizioni di « famiglia anagrafica » e « convivenza anagrafica », che si trovano rispettivamente negli articoli 4 e 5 del Regolamento distinguono dunque due fattispecie accomunate dal fatto di riferirsi normalmente a più persone coabitanti, almeno due, con , come detto, della persona sola che può costituire famiglia anagrafica a sé stante.
Le due fattispecie – famiglia e convivenza- si distinguono, invece, per almeno un elemento, ovvero l’esistenza o la mancanza di parentela o di un vincolo affettivo tra le persone che coabitano. La prova dei vincoli affettivi viene riconosciuta alla dichiarazione che gli interessati rendono al momento della dell’iscrizione o modifica anagrafica della famiglia o della convivenza. Pertanto si ha « convivenza anagrafica » quando il motivo che lega le persone coabitanti è sociale, religioso di cura ed altro: si fa l’esempio delle persone in carcere o dei monaci e delle suore nei conventi; degli studenti o dei lavoratori fuori sede o degli anziani, qualora questi vivendo insieme dichiarano di prestarsi reciprocamente assistenza e cura. L’esistenza del vincolo affettivo, invece, è da solo sufficiente a creare la « famiglia anagrafica ».
Essendo l’anagrafe momento di registrazione di situazioni di fatto, essa non è funzionale alla costituzione di una famiglia legittima, che è tale indipendentemente dalla situazione di fatto e in virtù della semplice esistenza del vincolo giuridico del matrimonio. Perciò le famiglie legittime coabitanti costituiscono allo stesso tempo famiglie anagrafiche, mentre non tutte le famiglie anagrafiche sono famiglie legittime. Per quanto detto due coniugi non coabitanti e, in particolare, dimoranti in comuni diversi costituiscono due famiglie anagrafiche distinte, anche se non è difficile riscontrare errori da parte degli uffici anagrafici rispetto a questa specifica situazione.
In generale, quindi, l’iscrizione anagrafica di una famiglia o una convivenza non crea nuovi status giuridici.
La ratio della Legge è così facilmente rinvenibile nella funzione caratteristica dell’anagrafe che è quella, più volte ripetuta, di rispecchiare lo stato di fatto ovvero la situazione reale, registrando le persone stabilmente residenti in un determinato territorio comunale e fornendo per finalità amministrative (certificazioni) e di studio, notizie su quei raggruppamenti di persone coabitanti ed aventi i precisati vincoli, anche solo affettivi, che costituiscono appunto le « famiglie anagrafiche », o coabitanti per altri motivi che, invece, costituiscono le « convivenze anagrafiche ».
La Legge prevede per tutti l’obbligo di iscriversi nei registri anagrafici entro 20 giorni dalla fissazione della dimora in un comune o dalla costituzione di una famiglia o convivenza anagrafica, nonché di comunicare tutte le modifiche successive, pena l’applicazione di una sanzione amministrativa (combinato disposto degli artt. 13, comma 2 del regolamento e art. 11 della Legge).
Tutti gli atti anagrafici sono atti pubblici (art. 1, comma 3 della Legge).
(continua)
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