Sulla prima questione ha affermato: “Non può essere riconosciuto a nessuno il diritto di dare morte ad un altro, se eutanasia vuol dire questo, e vuol dire questo, non sono d’accordo”.
Sulla seconda questione: “Non penso che sia utile per il bambino essere adottato e crescere con due persone dello stesso sesso”.
Ha poi aggiunto che per trovare soluzioni a questi problemi non si può andare al muro contro muro, ma bisogna cercare soluzioni “condivisibili”.
Su L’Unità di ieri, Stefano Passigli ha difeso la posizione del Segretario DS, scagliandosi contro Vattimo e contro chi ha chiesto a Franco Grillini e agli altri militanti gay iscritti ai DS di lasciare il partito, seguendo l’esempio di Aurelio Mancuso, il segretario nazionale di Arcigay.
Cerchiamo di ragionare.
C’è innanzitutto una questione di metodo. Assistiamo ad una semplificazione delle questioni che coinvolgono aspetti importanti della vita delle persone come le scelte di fine vita o come diventare genitori, che è sconcertante. Aveva ragione Sartori quando, qualche tempo fa, in un articolo pubblicato su La Stampa, sosteneva che i politici italiani scelgono la propria agenda sulla base dei titoli dei giornali, e preoccupati solo dei titoli del giorno dopo.
Quanto al merito. Chi può pensare che ci sia qualcuno disposto ad accettare che eutanasia possa voler dire uccidere deliberatamente una persona per il gusto di farlo? Quello si chiama in un modo molto preciso: omicidio. Eutanasia significa un’altra cosa: significa interrompere le sofferenze immani che una persona affronta suo malgrado, a causa di uno stato patologico, senza godere di un’esistenza dignitosa, senza poter lenire il dolore, senza nutrire speranze di guarigione.
Chi può pensare che nell’adottare un bambino non si debba mettere al centro il benessere del minore? E’ cosa talmente ovvia che non vale neppure la pena parlarne, mentre Passigli ne parla come se fosse una trovata eccezionale.
Ma perché un bambino cresciuto da una coppia gay dovrebbe stare peggio degli altri?
Delle due l’una: o i gay sono essere incapaci di amore e sono dei pessimi educatori oppure un figlio di due omosessuali – si pensa – può soffrire di tale condizione a causa della società che lo circonda.
Ovviamente la prima soluzione è da scartare, giacchè l’orientamento sessuale non mi consta che si rifletta sulla vita affettiva delle persone né – a meno che Fassino non sia d’accordo con la moglie di Fini – mi pare che essere gay comporti l’incapacità di educare un bambino. L’anno scorso negli Stati Uniti è stato dichiarato padre dell’anno proprio un omosessuale.
Forse allora il problema è la società, che è omofoba e razzista. E la società italiana lo è certamente. Se questo allora è il problema, le dichiarazioni di Fassino non aiutano certo a migliorare la situazione. Né serve specificare che si tratta di un’opinione personale, perché essere leader di un partito importante come i DS amplifica tale opinione e ne fa un caso politico.
Né si può ritenere che Fassino pensi che crescere in una famiglia gay incida sullo sviluppo affettivo e sessuale del bambino. E’ statisticamente provato che crescere in una famiglia omosessuale non aumenta la possibilità di essere gay una volta diventati adulti. Del resto se ci fosse un tale rapporto osmotico tra orientamento sessuale dei genitori e quello dei bambini, in Italia non ci dovrebbero essere gay, visto che sono tutti nati in famiglie rigorosamente eterosessuali.
Allora quelle parole che senso hanno? Servono a rassicurare i futuri compagni d’avventura del Partito democratico.
Ma per raggiungere questo obiettivo serviva mortificare migliaia di cittadini italiani?
In ogni caso, ognuno si prende le proprie responsabilità. Anche restare in un partito il cui segretario si esprime con una superficialità disarmante.
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