Durante un giudizio di separazione emerge che un tradimento è stata la causa generante l’intollerabilità della convivenza. Novità nel caso di specie è che il tradimento della moglie ha visto protagonista un’altra donna e non un uomo.
E’ sempre difficile giudicare la bontà una sentenza senza conoscere nei dettagli i fatti da cui il giudicato è formato e soprattutto senza conoscere gli atti di causa.
Da quello che pare di capire dalle prime notizie trapelate, nulla di anormale sembra essere successo nel caso deciso dalla Cassazione.
I giudici di Cassazione hanno solo il compito di controllare che i giudici dei gradi precedenti abbiano fatta una corretta applicazione del diritto, per decidere il caso sottoposto alla loro attenzione. E quali sono le norme rilevanti nel caso di specie?
Innanzi tutto, l’articolo 151, secondo comma del codice civile: che dichiara addebitabile la separazione al coniuge che ha tenuto un comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, tra cui c’è il l’obbligo reciproco alla fedeltà in base all’art. 143 del codice civile.
La norma del codice civile si arricchisce di alcune puntualizzazioni della giurisprudenza.
Il tradimento può essere fonte dell’addebito «sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale» (Cass., sez. I, 18-09-2003, n. 13747).
Quindi non è il tradimento in sé a giustificare l’addebito, ma il fatto che questo è stato il l’evento che ha determinato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Ma se il tradimento – come pare di capire per il fatto che l’uomo si concedeva numerose relazioni extraconiugali – si inserisce in un contesto familiare caratterizzato da un’intrinseca fragilità tanto da dare vita ad una convivenza meramente formale non può essere considerato motivo di addebito.
La Cassazione ha però precisato che «ad escludere la rilevanza della infedeltà non è ammissibile la qualificazione della stessa quale reazione a comportamenti dell’altro coniuge, non essendo possibile una compensazione delle responsabilità nei rapporti familiari» (Cass., sez. I, 09-06-2000, n. 7859) potendo in questo caso essere addebitata la separazione a entrambi i coniugi, ove però ne sussistano le relative domande.
Non si sa al riguardo se la moglie avesse esplicitamente proposto a sua volta la domanda di addebito al proprio marito, ammesso che il suo tradimento fosse una reazione al modo di comportarsi del marito fuori dalle mura domestiche.
La condotta idonea a fondare l’addebito poi deve avere delle caratteristiche. La Cassazione ha ritenuto «addebitabile la separazione al marito che, dando luogo ad una pubblica convivenza con altra donna a ridosso della cessazione della coabitazione con la moglie, viene così a ledere l’onore ed il decoro di quest’ultima» (Cass., sez. I, 23-05-1997, n. 4623).
Le massime riportate sono espressione di un orientamento granitico della Cassazione.
Nella sentenza non pare – stando a quello che si sa finora – che la Cassazione abbia voluto avallare un’interpretazione della legge generante una discriminazione indiretta basata sull’orientamento sessuale della donna.
Vanno considerate infatti alcune variabili:
I giudici, in definitiva, decidono sulla base dei fatti che le parti gli rappresentano. E se la donna – ammesso che abbia proposto la relativa domanda – non ha dato prova della lesione del suo onore e della sua reputazione, che il comportamento del marito le infliggeva, ora non può lamentarsi del mancato addebito allo stesso.
L’uomo, dal canto suo, ha avuto facile gioco a dare prova che la relazione della moglie lo ha esposto ad una critica da parte delle persone che vivevano vicino a lui molto forte.
I giudici hanno preso la stessa decisione che avrebbero preso se la donna avesse avuto una relazione con un ex compagno di scuola delle figlie. Il fatto che la relazione fosse con una donna li ha solo aiutati a considerare evidente, nel caso di specie, che il tradimento fosse lesivo dell’onore e della reputazione dell’uomo.
Non mi pare di vedere nei giudici alcun intento discriminatorio.
La riflessione che io farei è non giuridica, posto che giuridicamente non è successo niente di eclatante.
Da un lato rifletterei sul clamore di questa vicenda. Cause così se ne decidono centinaia ogni giorno in Italia, perché questa fa notizia? Perché per la prima volta ci rendiamo conto che si possa lasciare il coniuge perché si ama una persona del proprio sesso. Ci dovremmo felicitare di questo, perché si parla alla luce del sole di qualcosa che succede da sempre. Si rompe il tabù dell’omertà.
Dall’altro lato prenderei in considerazione il contesto sociale in cui la vicenda è maturata. A quanto pare di capire per prime le figlie hanno preso le distanze dalla donna. E si immagina che il marito fosse inviperito doppiamente per essere stato soppiantato non da un giovanotto, ma da una bella ragazza. Un tradimento che meritava una sonora reprimenda, a costo di svergognare la donna in tribunale.
Dispiace per l’esito della controversia, ma la simpatia per la donna e la solidarietà alla stessa è piena, non tanto per aver tradito un marito che proprio fedele a sua volta non era, ma per il fatto che non ha avuto il timore di rivolgersi alla giustizia arrivando fino ai vertici della magistratura. Un coraggio notevole, che se avessero molte altre persone farebbe guadagnare molte conquiste alla lotta dei diritti delle lesbiche e dei gay.
Fiducia piena alla magistratura, che dimostra ancora una volta di non fare distinzioni tra cittadini in ragione di una condizione personale, rilevante ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, qual è l’omosessualità.