La vicenda ha preso avvio nel 2017, a seguito della richiesta rivolta all’Ufficiale di Stato civile da parte di una coppia di donne di Venezia, che si era unita civilmente e aveva fatto ricorso fecondazione medicalmente assistita all’estero, di indicare entrambe le madri sull’atto di nascita del figlio.
L’ufficiale di stato civile del Comune di Venezia si era rifiutato di dar seguito alla congiunta richiesta e aveva formato l’atto di nascita indicando il bambino come “nato dall’unione naturale con un uomo, non parente né affine” con la partoriente ed attribuendo alla stesso solo il cognome di questa.
Nell’ottobre del 2018 la coppia si è quindi rivolta al Tribunale, chiedendo che venisse dichiarata l’illegittimità del rifiuto opposto e che venisse ordinato all’Ufficiale di Stato civile di rettificare l’atto di nascita, in modo che venisse indicata anche l’altra madre ed indicato il percorso di genitorialità che aveva portato le due donne a prestare congiuntamente il proprio consenso alle tecniche di procreazione medicalmente in una struttura specialistica all’estero.
Il Tribunale di Venezia, con ordinanza depositata il 3 aprile 2019, si è discostato dall’orientamento giurisprudenziale sino ad ora formatosi in modo prevalente ritenendo che, relativamente alla genitorialità delle coppie di donne unite civilmente, la Legge 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) e quella che disciplina l’Ordinamento di Stato civile (D.P.R. 396/2000) contengano disposizioni di dubbia costituzionalità che devono essere rimesse al vaglio della Corte costituzionale.
In particolare, secondo i giudici della seconda sezione civile, la sospetta incostituzionalità riguarda l’incipit della c.d. “clausola di equivalenza” rappresentata dal comma 20 dell’art. 1 della Legge sulle unioni civili, che estende sì alle parti dell’unione tutte le disposizioni che si riferiscono al matrimonio o che contengano le parole ‘coniugi’ o termini equivalenti, ma limita la tutela ai «soli diritti e .. doveri nascenti dall’unione civile». Il combinato disposto di questa norma con l’art. 29 della legge sull’ordinamento di Stato civile che disciplina il contenuto dell’atto di nascita, non prevedendo espressamente la possibilità di indicare quale secondo genitore una donna unita civilmente alla madre, che abbia con essa fatto ricorso alla PMA, contrasterebbe con gli artt. 2, 3, 30 e 117 Cost..
Secondo il Tribunale remittente, infatti, la genitorialità intenzionale rientra nel “diritto fondamentale alla genitorialità dell’individuo, sia come soggetto singolo che nelle formazioni sociali dove svolge la sua personalità” racchiuso nell’art. 2 Cost.. Inoltre, negare la tutela richiesta dalla coppia di donne ricorrenti determinerebbe una “violazione dell’art. 3 Cost. che assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, qual è lo stigma tradizionalmente subito degli omosessuali, al pieno sviluppo della loro personalità” e comporterebbe una discriminazione ai danni del bambino, che non può essere “sotto-tutelato sul piano sia morale che materiale, in considerazione delle caratteristiche della relazione tra i genitori, ed in particolare se questa sia omosessuale”.
Il caso Veneziano è difeso dalle avvocate di Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford Patrizia Fiore e Valentina Pizzol, rispettivamente del Foro di Udine e di Treviso, e dall’avv. Umberto Saracco del Foro di Treviso. Secondo le legali «Il concetto di filiazione è ormai disancorato dal rapporto legale tra i genitori, a prescindere dalla composizione eterosessuale o omosessuale della coppia, per questo diverse Corti in Italia hanno già interpretato in senso costituzionalmente orientato le norme, garantendo immediata tutela alle famiglie ricorrenti».
«Il Tribunale di Venezia» aggiungono, «si è posto invece il dubbio della conformità costituzionale della Legge sulle unioni civili nella parte in cui lascia scoperte da una disciplina di tutela tutte quelle famiglie costituite da donne unite civilmente che hanno fatto ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita nei paesi esteri dove ciò è consentito»
La presidente di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, avvocata Miryam Camilleri, chiosa «con l‘ordinanza di rinvio del Tribunale di Venezia del 3 aprile 2019 torna dinanzi alla Corte costituzionale la questione di un bambino con due mamme, sollevata in precedenza dai Tribunali di Pisa, Pordenone e Bolzano, ma per la prima volta il dubbio di incostituzionalità coinvolge la clausola di equivalenza della Legge 76/2016, in relazione alla genitorialità omosessuale. Sebbene i casi da cui sono scaturiti i provvedimenti di rinvio siano significativamente diversi, così come la disposizioni impugnate, le questioni già pendenti potrebbero avere una rilevante influenza sulla decisione che la Corte è chiamata a prendere in questo caso, qualora venga superato il vaglio di ammissibilità che i Giudici delle leggi sono tenuti comunque a svolgere».
«Qualora la Corte costituzionale accogliesse il dubbio sollevato dal Tribunale di Venezia, o lo dichiarasse inammissibile in considerazione dell’orientamento permissivo già espresso da diverse pronunce di Tribunali, l’effetto sarebbe quello di consolidare ulteriormente il diritto delle persone omosessuali ad essere genitori».
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