La Cassazione rigetta il ricorso di Taormina che aveva dichiarato «Non assumo omosessuali nel mio studio», applicando i criteri dati dalla Corte di Giustizia. «Un leading case, frutto di un lavoro durato sei anni di Rete Lenford, guidati dal collega Alberto Guariso. Una vittoria per tutte e tutti coloro che lottano per l’eguaglianza» commenta il Presidente dell’Associazione.
Dopo la pronuncia della Corte di Giustizia del 23.4.2020, la Corte di Cassazione mette la parola fine sulla nota vicenda che era nata a seguito di un’azione avviata nel 2014 da Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford per far accertare il carattere discriminatorio delle dichiarazioni rese all’avvocato Taormina nella trasmissione radiofonica “La Zanzara”, che aveva dichiarato a più riprese di non voler assumere collaboratori omosessuali nel suo studio legale. Il ricorso proposto in Cassazione dal protagonista delle dichiarazioni viene totalmente rigettato.
L’esito, pur a fronte della sentenza della Corte di Giustizia dello scorso 23 aprile non era del tutto scontato. La Corte di giustizia infatti aveva fornito dei criteri da applicare che dovevano quindi essere verificati nel caso concreto e aveva inoltre richiamato la Corte di Cassazione ad applicare alcune norme di diritto nazionale, su cui essa non poteva pronunciarsi.
Ed è proprio sulla legittimazione ad agire di Rete Lenford che la Cassazione ha confermato la sentenza d’appello ricorsa, che aveva affermato come fosse centrale allo scopo statutario dell’Associazione e alle attività da essa svolta il fine di contribuire a sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti delle persone LGBTI, sollecitando il mondo giudiziario e promuovendo la tutela giudiziaria, nonché l’utilizzo degli strumenti di tutela collettiva, presso le Corti nazionali e internazionali. La Cassazione enuncia sul punto un principio di diritto, ovvero che nel caso di discriminazioni collettive senza vittime identificabili le norme di diritto nazionale hanno una portata più ampia di quella prevista dal diritto dell’Unione Europea e l’interesse ad agire per avviare un’azione per accertare tale discriminazione è di tutte le associazioni rappresentative dell’interesse collettivo leso. La loro rappresentatività deve essere accertata nel merito “sulla base dell’esame dello statuto [dell’ente che propone l’azione], che deve contemplare la previsione univoca della finalità di tutela dell’interesse collettivo assunto a scopo dell’ente e del suo concreto operato”.
Nel merito delle dichiarazioni oggetto della causa, la Cassazione applica i criteri enunciati dalla Corte di giustizia, confermando che la Corte di merito aveva accertato la natura non ipotetica delle dichiarazioni e il loro contenuto discriminatorio, essendo il protagonista della vicenda “un avvocato molto noto e titolare di uno studio professionale, che rivela pubblicamente la propria scelta programmatica in tema di politica di assunzioni nel suo studio”; egli nella trasmissione radiofonica ha ribadito a più riprese la precisa esclusione delle persone omosessuali pur a fronte dei tentativi “correttivi” di conduttore e co-conduttore. La condanna non si pone in contrasto con il diritto alla libertà di espressione di cui all’art. 21 della Costituzione, precisa la Cassazione, perché tale diritto deve essere contemperato con la tutela dei diritti inviolabili delle persone ai sensi dell’art. 2 e del principio di eguaglianza dell’art. 3 della Costituzione, nonché il diritto effettivo al lavoro tutelato dagli artt. 4 e 35 della Costituzione e quindi alla rimozione degli ostacoli sociali che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, sociale del Paese.
“L’Associazione è molto felice che da una sua iniziativa sia sorto un leading case, che ha fissato principi di eguaglianza validi per tutti i gruppi di persone vittime di discriminazioni in ragione dei fattori vietati nel nostro ordinamento e ribadito la centralità del ruolo delle Associazioni nella lotta contro le discriminazioni.” dice il Presidente di Rete Lenford, avv. Vincenzo Miri. “Questa lunga vicenda giudiziaria é nata dall’intuizione giuridica di uno dei soci e portata avanti sin dal giudizio di primo grado, grazie anche al confronto con molti e molte nell’associazione, dalla socia avv.ta Caterina Caput e dal socio avv. Francesco Rizzi”. “Per questo risultato ringraziamo enormemente l’avvocato Alberto Guariso, massimo esperto in Italia di diritto antidiscriminatorio, che sin dal primo grado ha rappresentato l’Associazione, guidandola in un percorso di crescita formativa per cui gli siamo tutte e tutti grati” prosegue Miri.“ Questa vittoria fissa un punto in un percorso ancora lungo per la piena affermazione dell’eguale dignità delle persone LGBTI, nel quale l’Associazione rinnova il suo impegno a fianco del nutrito e solido gruppo di associazioni LGBTI in Italia”.