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La responsabilità penale in materia di omofobia e transfobia: prospettive di riforma

25 Novembre 2008

E’ in questi giorni all’esame della Commissione Giustizia della Camera la proposta di legge d’iniziativa parlamentare n. 1658, presentata il 17 settembre 2008 dall’Onorevole Paola Concia del Partito Democratico e da altri deputati, finalizzata alla repressione degli atti di discriminazione e di odio fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

Tralasciando ogni valutazione di politica criminale che può essere condotta con riferimento allo schema di legge in esame, si vuole qui presentare una sintesi di quelle che potrebbero essere – il condizionale è d’obbligo – le innovazioni che siffatta normativa apporterebbe al nostro ordinamento.

Tale proposta di legge si compone di un unico articolo che introduce, per il tramite di alcune modifiche a testi normativi preesistenti, nuove fattispecie di reato, tutte caratterizzate dal comune denominatore della finalità di discriminazione e di odio fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

Dietro l’espressione giornalistica di “reato di omofobia” si nascondono, infatti, una pluralità di distinte fattispecie incriminatrici che andrebbero ad integrare la nostra attuale legislazione in materia di discriminazione.

Il nostro ordinamento, ad oggi, dispone la repressione dei delitti motivati dall’odio etnico, religioso e razziale. Ciò in virtù della legge n. 654 del 1975  che ha dato ratifica ed esecuzione alla Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966), attraverso la quale il nostro legislatore è addivenuto alla predisposizione di alcune fattispecie di delitto per la repressione di condotte di apologia, istigazione e associazione finalizzate alla discriminazione. Un altro importante provvedimento a tutela di gruppi sociali più deboli e vittime di atti di pregiudizio e di discriminazione è la legge n. 205 del 25 giugno 1993, detta comunemente “legge Mancino”, che ha convertito un decreto legge emanato in quello stesso anno e recante misure urgenti in materia, sempre, di discriminazione razziale, etnica o religiosa. Le disposizioni della legge Mancino hanno inasprito le pene per i delitti già previsti con il precedente provvedimento ed hanno introdotto ulteriori fattispecie di reato, insieme ad alcune sanzioni accessorie a finalità fortemente rieducativa per il reo e ad una circostanza aggravante legata alla commissione di reati comuni ma motivati da odio nei confronti dei gruppi sociali protetti dalla normativa.

L’articolo unico di cui alla proposta di legge in esame intende introdurre un esplicito riferimento alla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, novellando alcune disposizioni dei provvedimenti legislativi sopra citati.

L’eventuale approvazione e promulgazione del testo di legge così come oggi proposto alla Commissione Giustizia della Camera stabilirebbe il sorgere delle seguenti fattispecie di reato.

  • Delitto di commissione o istigazione alla commissione di atti di discriminazione per motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. E’ comminata la pena della reclusione fino a tre anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato.
  • Delitto di commissione o istigazione alla commissione, in qualsiasi forma essi avvengano, di atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. La pena è la reclusione da sei mesi a quattro anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

 

Queste due prime fattispecie incriminatrici mirano a punire tutti quei comportamenti violenti e di odio volti a colpire quel gruppo sociale che si distingue dalla collettività per un orientamento sessuale minoritario (omosessuale o bisessuale) o per motivi legati all’identità di genere (persone transgender o transessuali).

Il bene giuridico tutelato dalla norma penale sembra essere – ad un attento esame delle fattispecie e del contesto normativo e giurisprudenziale in cui esse andrebbero ad inserirsi  – l’ordine pubblico, inteso come tranquillità della vita sociale e coesistenza pacifica dei vari gruppi sociali, insieme al bene della dignità dell’uomo, intesa come dignità di ogni uomo ad essere considerato quale egli è, con riferimento – in questo specifico caso – al proprio orientamento sessuale o identità di genere. I delitti, pertanto, presenterebbero un carattere pluiroffensivo.

Da un punto di vista formale, poi, le fattispecie si configurano come reati di pura condotta a forma libera e di pericolo astratto (o presunto): ai fini della commissione del delitto, non si richiede che venga accertato e provato il pericolo per i beni giuridici tutelati, essendo sufficiente che il fatto sia conforme allo schema tipico, avendo posto in essere il soggetto attivo tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato (atto o istigazione ad atto di discriminazione o di violenza, caratterizzato da una particolare finalità). Il pericolo per l’ordine pubblico e per la dignità umana è ravvisato, pertanto, nel fatto stesso di porre in essere la condotta criminosa, che può concretamente atteggiarsi secondo forme differenti, purché astrattamente lesive dei beni giuridici sopra citati.

Il soggetto passivo delle fattispecie sopra descritte è, in primo luogo, colui che sopporta le conseguenza immediate dell’attività criminosa (colui che viene discriminato o è vittima di atti di violenza), ma non occorre, ai fini della configurazione del reato, che l’azione offensiva sia sempre rivolta verso un soggetto individuato, colpito nel valore della propria dignità di uomo. L’atto criminoso, infatti, stante la genericità del riferimento normativo e la natura plurioffensiva della fattispecie può essere indirizzato tanto nei confronti di singole persone fisiche, quanto indiscriminatamente nei confronti di tutti gli appartenenti alle comunità sociali protette.

Con riferimento alle fattispecie di istigazione, non rileva che l’incitamento a commettere atti discriminatori o violenti venga concretamente accolta dai potenziali destinatari, né che l’offesa o la provocazione venga percepita dagli appartenenti al gruppo sociale tutelato dalla norma.

E’ tuttavia necessario che l’atto discriminatorio o violento venga a conoscenza (momento consumativo) di una o più persone, non potendosi punire il mero pensiero o la mera opinione non diffusa.

Non rileva, inoltre, che il biasimo abbia trovato credito presso i destinatari della comunicazione offensiva, ma è importante che l’offesa insita nell’atto o nel messaggio omofobico o transfobico abbia un significato obbiettivo, secondo il senso che l’espressione ha nell’ambiente in cui il fatto si è svolto, tenuto conto dell’opinione della generalità degli uomini, di cui il giudice deve farsi interprete. Non si può far riferimento alla particolare suscettibilità né dell’offeso né di quel particolare soggetto che ha percepito l’offesa.

E’ pur vero che il senso offensivo di un’espressione è un concetto relativo, che va rapportato a luoghi, tempi e circostanze. Ciò che una simile normativa tende ad imporre alla collettività è il rispetto dell’altro uomo, diverso per orientamento sessuale o identità di genere. Pertanto, l’offensività dell’espressione, ove riferita a motivi di orientamento sessuale o identità di genere è sempre penalmente rilevante, a prescindere da luogo, tempo e circostanze. Esiste infatti un senso minimo della dignità umana che coincide con la coscienza della propria esistenza: per il solo fatto di essere uomo e di avere coscienza della propria dignità di uomo, ciascuno ha il diritto di essere rispettato come
tale.

 

Concludono il novero delle fattispecie penali che verrebbero introdotte attraverso la proposta di legge in esame, due delitti di natura associativa, predisposti attraverso lo schema del reato plurisoggettivo.

 

  • Delitto di partecipazione o prestazione di assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla violenza o alla discriminazione per motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. E’ prevista la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni.
  • Delitto di promozione e direzione di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla violenza o alla discriminazione per motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, punito con la reclusione da uno a sei anni.

 

Anche in queste due fattispecie di delitto, il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è l’ordine pubblico inteso come pace sociale determinata dalla serena convivenza tra i diversi gruppi che compongono la società, la quale verrebbe posta in serio pericolo o danneggiata dalla presenza di fenomeni associativi che perseguano comportamenti e finalità di odio e discriminazione nei confronti delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali e transgender.

E’ importante notare come venga punita la mera partecipazione a siffatte formazioni associative, non essendo rilevante la commissione, in concreto, di atti criminosi successivi. Un’organizzazione che persegua finalità omofobiche o transfobiche è giuridicamente vietata e determina la punizione di tutti i suoi componenti, con aggravio sanzionatorio per i promotori e i dirigenti.

 

In ultimo, è da segnalare la predisposizione di una circostanza aggravante ad effetto speciale che andrebbe ad aumentare la pena di tutti quei reati che vengano posti in essere per una finalità discriminatoria e violenta fondata sui motivi di cui alle precedenti fattispecie.

  • Circostanza aggravante per tutti i reati, ad esclusione di quelli per cui è prevista la pena dell’ergastolo, posti in essere con la finalità di discriminazione o di odio fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o col fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla violenza o alla discriminazione per motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. In tutti questi casi, la pena – qualunque sia il reato posto in essere – è aumentata fino alla metà.

 

L’auspicata introduzione, ad opera del legislatore, di un apparato sanzionatorio volto a reprimere comportamenti discriminatori o violenti motivati dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, oltre ad offrire opportuna tutela ad un gruppo sociale spesso vittima di pregiudizio, discriminazione e violenza, consentirebbe la giusta equiparazione tra questa forma di violenza e quella, già tutelata, di natura etnica, razziale o religiosa, ponendo fine ad un’incomprensibile discriminazione penalistica nella lotta alla discriminazione.