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PROPOSTA DI LEGGE
Norme in materia di modificazione dell’attribuzione di sesso
(Testo modificato il 16 aprile 2013)
La legge 14 aprile 1982, n. 164, recante la disciplina per la rettificazione dell’attribuzione di sesso, e conseguentemente del nome, a favore delle persone transessuali ha costituito per il nostro ordinamento un esempio importante di civiltà giuridica e rispetto dei diritti fondamentali della persona. Nella sentenza del 6 maggio 1985, n. 161, la Corte costituzionale giudicò infondato il ricorso teso ad ottenere una pronuncia di incostituzionalità di tale legge, riconoscendo che tale essa «si colloca nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale».
I giudici della Corte riconobbero l’esistenza di un diritto fondamentale all’identità sessuale, sancito dagli articoli 2 e 32 della Costituzione, all’interno del quale trova protezione anche il diritto fondamentale all’adeguamento dell’identità fisica all’identità psichica, mediante la modifica dell’attribuzione di sesso. In particolare, la Corte individuò nell’articolo 32 della Costituzione, un concetto ampio di diritto alla salute, che ricomprende quella fisica e quella psichica, in relazione alla quale gli atti dispositivi del proprio corpo, se volti a tutelare la salute persona, non solo non sono vietati, ma anzi sono leciti. Inoltre, la garanzia e la tutela del diritto inviolabile all’identità sessuale, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, consentiva al soggetto transessuale, secondo i giudici, il pieno svolgimento della propria personalità, sia nella sua dimensione intima e psicologica, sia nella vita di relazione. Il legislatore aveva accolto, infatti, un nuovo concetto di identità sessuale che teneva conto non soltanto dei caratteri sessuali esterni, ma altresì di elementi di carattere psicologico e sociale, dal quale derivava una «concezione del sesso come dato complesso della personalità determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio, privilegiando (…) il o i fattori dominanti».
Dall’approvazione della legge 164 sono trascorsi oltre trent’anni: anni di esperienza, di cambiamenti sociali e di evoluzione giuridica a livello internazionale, che fanno ormai ritenere il contenuto della legge problematico in alcuni suoi aspetti, e superato in altri. L’interpretazione giurisprudenziale scaturita dal non chiaro dettato normativo, ha infatti stabilito che la rettificazione dell’attribuzione di sesso sia autorizzata dal giudice in seguito a trattamento medico-chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali primari, anch’esso autorizzato mediante decisione del tribunale. Anche se, è bene precisarlo, la lettera della legge 164 non conteneva un obbligo a sottoporsi a trattamenti medico-chirurgici di modificazione dei caratteri sessuali.
L’esperienza di vita delle persone transessuali e transgender, così come la ricerca scientifica in quest’area, hanno ampiamente dimostrato come l’equilibrio psico-fisico della persona transessuale non comporti necessariamente l’adeguamento chirurgico dei genitali, che al contrario spesso viene forzato dalla necessità di «regolarizzare» una situazione intermedia nella quale la persona transessuale è soggetta a stigmatizzazione sociale, discriminazione, privazione dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla riservatezza dei dati personali sensibili, quali quelli relativi alla salute e alla vita sessuale. L’intervento chirurgico costituisce, per alcune persone, un «intervento forzato» in assenza del quale la persona è privata della dignità e dei diritti di cittadinanza, costretta ad una «esistenza legale» che non corrisponde all’identità, all’aspetto esteriore e al ruolo sociale che la stessa persona viene ad assumere. L’intervento chirurgico diventa, in altre parole, un modo per vedere sanzionata dalla legge l’identità stessa della persona.
Tutto ciò condiziona pesantemente il rispetto dei diritti e dell’identità della persona, del suo benessere psico-fisico e della vita di relazione. Non a caso negli ultimi anni la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare nel casi «Goodwin contro Regno Unito» (2002) e «Van Kück contro Germania» (2001), ha progressivamente riconosciuto l’esistenza di un diritto fondamentale all’identità di genere sulla base degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea per i diritti umani, in relazione al quale il riconoscimento giuridico dell’identità di genere non deve necessariamente dipendere dall’intervento chirurgico di riattribuzione dei genitali.
Tale orientamento, proprio in seguito alla decisione della Corte europea, che ha condannato il Regno Unito a tal riguardo, ha indotto il legislatore britannico ad introdurre il Gender Recognition Act del 2004, sulla base del quale la rettificazione del certificato di nascita e il cambio del nome sono effettuati indipendentemente dall’intervento chirurgico. Numerosi sono i paesi che adottano lo stesso regime legale del Regno Unito e ad essi si è aggiunta la Spagna che con la legge del 15 marzo 2007, n. 3, «reguladora de la rectificación registral de la mención relativa al sexo de las personas» ha previsto che sia l’ufficiale di stato civile a modificare o rettificare l’attribuzione di sesso e il nome della persona, che affronti il percorso di adeguamento dei caratteri sessuali primari o secondari all’identità di genere.
Nella prossima versione del Manuale Diagnostico e statistico degli psichiatri (DSM-V), che dovrebbe essere pubblicata nel maggio 2013 dall’APA (Associazione psichiatri americana), verrà eliminato dall’elenco delle malattie mentali il termine “Disturbo di identità di genere” (DIG), storicamente utilizzato dai professionisti della salute mentale per indicare la condizione delle persone transgender e transessuali. Nello stesso manuale verrà utilizzato unicamente il termine “Disforia di genere” per descrivere lo stress emotivo causato da ‘una marcata incongruenza tra il genere sessuale vissuto/espresso e quello con cui si è nati’. Secondo l’APA, questa scelta consente di eliminare la stigmatizzazione della disforia di genere come malattia mentale, permettendo al contempo di disporre di una categoria diagnostica che faciliti l’accesso all’assistenza medica. In particolare, l’indicazione della disforia di genere rimarrebbe ad indicare unicamente quelle situazioni nelle quali la mancata coincidenza procura stress emotivo alla persona motivandola a chiedere un supporto medico o psicologico per giungere alla modificazione dei propri caratteri sessuali.
La presente proposta di legge, nel solco della tradizione giuridica dei Paesi poc’anzi citati e delle intervenute modificazioni nel DMS-V, semplifica il procedimento di riattribuzione di sesso e di cambio di nome, per assicurare in ogni caso la dignità della persona e la sua libertà di autodeterminarsi, senza la coercizione di doversi sottoporre a invasivi interventi medico-chirurgici.
Passando all’illustrazione del contenuto della presente legge, l’articolo 1 stabilisce che in attuazione del principio di autodeterminazione e del diritto alla salute, tutelati dalla Costituzione, la legge riconosce il diritto fondamentale della persona che sente di non corrispondere al sesso indicato nell’atto di nascita di poter adeguare la propria identità fisica a quella psichica.
L’articolo 2 individua la procedura di modificazione dell’attribuzione di sesso e del nome di nascita, stabilendo che la relativa istanza, venga presentata al prefetto. Tale procedura è un elemento caratterizzante della presente legge, consentendo di superare la doppia procedura giudiziale per l’autorizzazione della riassegnazione medico-chirurgica e anagrafica, prevista dalla legge n. 164 del 1982. La scelta di rendere possibile la modificazione del sesso per via amministrativa risponde all’esigenza di favorire la persona nella realizzazione di un diritto fondamentale, attraverso un’unica procedura semplificata. D’altra parte, l’esercizio di questo diritto fondamentale non può essere limitato o impedito, fondandosi sull’autodeterminazione della persona e in presenza di documentazione medica o psicologica che attesti la sua situazione. Il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria costituirebbe un onere eccessivo, in contrasto anche con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione. L’articolo 12, invece, mantiene il ricorso all’autorità giudiziaria nel caso in cui la richiesta di riattribuzione del sesso provenga da una persona minore di età.
Il comma 1 dell’articolo 2 dispone che la domanda possa essere presentata al prefetto del luogo di residenza dell’istante o quello del luogo dove si trova l’atto di nascita che deve essere modificato. Ai sensi dei comma 2 e 3, la domanda deve essere accompagnata dalla documentazione che attesti che la persona sta seguendo un percorso di transizione o la documentazione medica che attesti l’effettuazione di un intervento medico-chirurgo di adeguamento dei caratteri sessuali primari, qualora effettuato.
L’articolo 3 affronta la questione del trattamento medico-chirurgico, delle terapie ormonali e dei trattamenti di carattere estetico specificando, al comma 1, che ad essi può essere fatto ricorso qualora la persona che intende procedere all’adeguamento lo ritenga necessario per il suo equilibrio psico-fisico e al comma 2 che esso non costituisce un atto contrario alle legge.
Al comma 3 si precisa che ai fini dell’attribuzione di un sesso diverso da quello indicato nell’atto di nascita la modificazione o l’adeguamento dei caratteri sessuali primari mediante trattamento medico-chirurgico non è un requisito necessario. Tale scelta è affidata all’autodeterminazione del soggetto interessato, con l’ausilio del medico specialista che ne valuta la condizione psico-fisica. della persona. In nessun caso, invece, fatta salva la situazione del soggetto minore o incapace, è richiesto a tale scopo l’intervento dell’autorità giudiziaria o di un soggetto terzo, dal momento che la condizione della persona che presenti una disforia di genere non è diversa da altre condizioni mediche nelle quali sia necessario un intervento chirurgico invasivo per determinare il benessere psico-fisico dell’individuo.
L’articolo 4 contiene disposizioni relative al nome. Il comma 1 stabilisce che il nome che la persona vuole assumere sia indicato direttamente nell’istanza di modificazione del sesso inoltrata al prefetto. Il comma 2, tuttavia, specifica che la richiesta di modifica del nome può essere inoltrata con autonoma istanza, presentata al prefetto, anche indipendentemente dall’istanza di modificazione del sesso, in ragione di una disforia di genere. Sebbene una tale scelta possa inquadrarsi in un percorso di transizione, in ragione della sua durata, la possibilità di modificare il nome, indipendentemente dalla modificazione dell’attribuzione del sesso, costituisce una possibilità aggiuntiva rimessa alla libertà della persona di acquisire una serenità ed equilibrio psico-sociale. È evidente che in questo caso la non corrispondenza tra il nome e il sesso biologico della persona è motivato dalla presenza di una disforia di genere e non ha nessun rilievo ai fini della applicazione dell’articolo 35 del DPR 396 del 2000. Questa nuova opportunità costituisce un importante sostegno per la persona, che da un lato le consente, se lo ritiene opportuno, che i documenti riportino il nome che avrebbe scelto di assumere come proprio al termine della transizione, e dall’altro, a prescindere dalla modificazione dell’attribuzione di sesso, le facilita la possibilità di essere riconosciuta socialmente come appartenente al genere di elezione. Infatti, la presenza sui documenti di un nome non corrispondente al proprio sesso psicologico, genera disagio e fraintendimenti in molte circostanze della vita: quando si usa la carta di identità per viaggiare o in un ufficio pubblico, o quando si utilizza il libretto universitario per recarsi a sostenere un esame, o, infine, quando si indossa un badge nel luogo di lavoro.
Il comma 3 stabilisce che sull’istanza decide il prefetto, sulla base della documentazione, rilasciata da una struttura pubblica o privata, attestante la presenza di una disforia di genere.
Ai sensi dell’articolo 5, il prefetto, verificata la regolarità della domanda, autorizza la modifica degli atti di Stato civile con decreto, che l’interessato deve notificare agli eventuali coniuge e figli e presentare all’ufficiale di stato civile per l’annotazione, secondo le formalità ed i termini previsti dall’articolo 6.
L’articolo 7 dispone che tutti gli incombenti relativi alla procedura sono esenti da ogni spesa, tassa, imposta o tributo, comunque denominati.
Il successivo articolo 8 in tema di effetti del cambiamento del nome e del sesso sul matrimonio, stabilisce che la correzione dell’attribuzione di sesso non determina automaticamente lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili dello stesso, trattandosi di facoltà rimessa ai coniugi ai sensi dell’articolo 3, comma 1, numero 2, lettera g) della legge 1 dicembre 1970, n. 898, recante norme in materia di divorzio, come modificato dall’articolo 12, comma 3, della presente legge. A tal proposito, merita ricordare che negli ultimi anni sono intervenute due importanti sentenze delle corti costituzionali dell’Austria e della Germania, le quali hanno dichiarato l’incostituzionalità delle norme che prevedevano, in quei paesi, l’automatico scioglimento del matrimonio a seguito della modificazione dell’attribuzione del sesso. Nei due paesi ricordati, come nel nostro, il matrimonio è un diritto fondamentale e non sopporta l’ingerenza dello Stato, che imponga a due persone lo scioglimento del vincolo al quale si sono liberamente determinate. In assenza della volontà di almeno uno dei coniugi che richieda il divorzio, si tratterebbe anche di una inaccettabile violazione della vita privata e familiare, protette dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani.
L’articolo 9 afferma il diritto della persona ad ottenere il rilascio di documenti che riportino il nuovo sesso attribuito e il nome modificato. Ai sensi del comma 1, l’ufficiale di stato civile, a seguito dell’annotazione nell’atto di nascita, provvede al rilascio dei nuovi documenti di identità personale e, al fine di evitare rischi di mancato coordinamento tra uffici pubblici, comunica l’avvenuta modificazione all’Agenzia delle entrate per il rilascio di un nuovo Codice fiscale e una nuova Tessera Sanitaria, nonché all’Ufficio della Motorizzazione civile per il rilascio di una nuova patente di guida (comma 2).
Il comma 3 prevede che, con regolamento del Ministro dell’interno, sono stabilite le modalità per il rilascio di copie e duplicati debitamente corretti dei titoli conseguiti e di tutti gli altri documenti in esame che per loro natura non sono soggetti a modifiche nel tempo, rilasciati da autorità o istituzioni pubbliche e private. Si pensi, per esempio, ai titoli di studio, come il certificato di laurea, che dovranno riportare il nuovo nome e, laddove riportato, il sesso d’elezione della persona. Anche in questo caso il comma 4 prevede che il rilascio della predetta documentazione sia esentato da qualsiasi costo.
L’articolo 10 impone, come già in parte previsto dalla legge n. 164 del 1982, che in seguito alla correzione degli atti dello stato civile, non sia fatta menzione dell’attribuzione di sesso e del nome precedenti, sia da parte di soggetti pubblici che di soggetti privati. Quindi, in ottemperanza alle norme in materia di protezione dei dati personali, e in particolare dei dati sensibili, la violazione di tale obbligo è punita ai sensi delle disposizioni in materia di trattamento illecito dei dati personali.
L’articolo 11 stabilisce che con regolamento del Ministro della salute, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentito il parere delle associazioni delle persone transessuali e transgender, sono stabiliti, con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, i presìdi medici e i trattamenti farmacologici, nonché ogni ulteriore rimedio terapeutico utile nel percorso di adeguamento dei caratteri sessuali primari o secondari. Tale regolamento deve essere adottato entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Il comma 2 stabilisce altresì che il Ministro della salute, di concerto con i Ministri per i diritti e le pari opportunità e dell’università e della ricerca e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, al fine di assicurare la formazione e l’informazione in materia di identità di genere promuove, nei limiti delle risorse disponibili, programmi di sensibilizzazione e di formazione del personale sanitario, in particolare dei medici di base, anche attraverso l’integrazione dei programmi di studio dei diplomi universitari e dei programmi di specializzazione delle professioni socio-sanitarie con contenuti concernenti la conoscenza della disforia di genere e l’intervento e il sostegno a favore delle persone transessuali e transgender.
L’articolo 12 contiene una disciplina specifica per la modificazione dell’attribuzione di sesso al minore, prevedendo che in questo caso l’autorizzazione provenga dal giudice. La ratio di questa differenziazione consente di assicurare che la scelta di modificare il sesso attribuito alla nascita provenga effettivamente dal minore e sia supportata dalla documentazione medica che ne attesti la disforia di genere. Il comma 1 stabilisce che la competenza è del giudice tutelare del luogo di residenza del minore secondo il procedimento camerale. Il giudice ha la competenza ad autorizza anche la sottoposizione del minore a trattamenti per la modificazione dei caratteri sessuali primari e secondari mediante il ricorso a terapie ormonali e, laddove richiesto, la loro modificazione mediante il ricorso a trattamenti medico-chirurgici. In base al comma 2, l’istanza al giudice tutelare è presentata dal genitore esercente la patria potestà o da un curatore speciale, allegando idonea documentazione medica, rilasciata da una struttura pubblica o privata, contenente una relazione psicodiagnostica, che attesti la presenza di una disforia di genere. Il comma 3 stabilisce che il giudice raccolga direttamente la volontà di modificare il proprio sesso del minore che abbia compiuto i 14 anni, mentre la volontà del minore di quattordici anni può essere raccolta mediante l’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio. I commi 4 e 5 precisano che le modifiche agli atti dello stato civile sono richieste sulla base del provvedimento del giudice che autorizza la modificazione di sesso del minore e che possono essere eseguite anche prima della sottoposizione ad eventuali trattamenti medico-chirurgici a cui il minore sia stato autorizzato. Infatti, la persona minore di età, a differenza di quella maggiorenne, deve essere autorizzata dal giudice a sottoporsi a qualunque trattamento per la modificazione dei caratteri sessuali, primari o secondari, mediante il ricorso a terapie ormonali o interventi medico-chirurgici. Tuttavia, parte di questi interventi sono di elezione e non indispensabili per conseguire la modificazione dell’attribuzione di sesso, anche nel caso del minore che deve esservi autorizzato.
L’articolo 13 afferma il principio fondamentale all’autodeterminazione delle persone che alla nascita presentano caratteristiche anatomo-fisiologiche sia maschili che femminili. Ancora oggi, usualmente, quando un neonato presenta queste caratteristiche viene sottoposto ad interventi medico-chirurgici per l’attribuzione ad uno dei due sessi, in genere sulla base della scelta che i medici suggeriscono ai genitori. Tuttavia, il bambino, crescendo e diventando adulto, spesso vive con disagio una scelta di altri che lo condizionerà per tutta la vita negli aspetti più peculiari ed anche intimi della sua vita. Si verifica, in ogni caso, una situazione nella quale alla persona non è stato consentito di autodeterminarsi. Il comma 1, pertanto, prevede che non possa esserci l’assegnazione di caratteri sessuali di un solo sesso mediante trattamenti medico-chirurgici, se il neonato non presenti un pericolo di vita o ricorrano esigenze di salute che impongano l’intervento.
Il comma 2 prevede, tuttavia, che i genitori, nella dichiarazione di nascita, attribuiscono al figlio il sesso e un nome a questo corrispondente, anche sulla base delle informazioni ricevute dai medici su quello che potrebbe essere il probabile sesso nel quale la persona potrebbe svilupparsi. Il comma 3, infine, consente alla persona che alla nascita presentava caratteristiche anatomo-fisiologiche sia maschili che femminili, quando sarà in grado di intendere e di volere, di domandare l’attribuzione di un sesso e di un nome diversi da quelli che gli furono assegnati dai genitori al momento della nascita e di sottoporsi, qualora lo ritenga necessario, anche a modificazioni dei caratteri sessuali primari o secondari. La modifica dell’attribuzione di sesso deve essere richiesta al prefetto, seguendo le stesse procedure disposte dalla presente legge per le persone transessuali.
Infine l’articolo 14 contiene alcune modifiche e abrogazioni di disposizioni vigenti. Il comma 1 aggiunge un comma all’articolo 85 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, stabilendo che non è punibile chi modifica, altera o camuffa il proprio aspetto esteriore per adeguare il proprio genere di appartenenza anagrafica alla propria identità di genere. In questo modo si vuole porre fine alla discriminazione subita dalle persone trans che di frequente sono sanzionate dalle forze dell’ordine per mascheramento, in base all’articolo 85 del testo unico citato. Il comma 2 modificata la lettera g) numero 2, comma 1, dell’articolo 3 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, recante norme in materia di divorzio, coordinandola con la presente legge. Il comma 3 abroga la legge 14 aprile 1982, n. 164, in materia di rettificazione di sesso, mentre il comma 4 abroga le disposizioni in tema di rettificazione di sesso contenute nel D. Lgs. n. 150/2011, risultando incompatibili con il presente testo di legge.
L’articolo 15, infine, contiene le coperture finanziarie per gli interventi previsti dalla presente legge.
La trattazione dei dati personali rientra nelle spese generali delle pubbliche amministrazioni.
Per coprire gli oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, per i presidi medici e i trattamenti farmacologici, nonché per ogni ulteriore rimedio terapeutico utile nel percorso di adeguamento dei caratteri sessuali primari o secondari, si ricorre all’accantonamento stabilito dall’annuale legge di stabilità relativo alle spese correnti con riferimento al Ministero della Salute.
Calcolando – sulla base dei dati disponibili – circa 200 persone l’anno che si rivolgono al servizio pubblico ed un costo medio mensile di 250 euro per almeno 24 mesi si arriva ad una spesa annua pari a circa 1,2 milioni di euro a regime.
Si può, inoltre, ipotizzare un’ulteriore spesa di circa un milione di euro annui per coprire le spese relative alla formazione e l’informazione in materia di identità di genere tramite la promozione, nei limiti delle risorse disponibili, di programmi di sensibilizzazione e di formazione del personale sanitario, in particolare dei medici di base, anche attraverso l’integrazione dei programmi di studio dei corsi di laurea e di specializzazione nelle professioni socio-sanitarie con contenuti concernenti la conoscenza della disforia di genere e l’intervento e il sostegno a favore delle persone transessuali e transgender. L’aumento di spesa complessivo è di 2,2 milioni di euro l’anno.
Art. 1.
(Finalità)
Art.2.
(Istanza di modificazione dell’attribuzione di sesso)
Art.3.
(Modificazione dei caratteri sessuali)
Art.4.
(Modificazione del nome)
Art.5.
(Decreto del Prefetto)
Art.6.
(Annotazioni ed altre formalità)
Art.7.
(Esenzione fiscale)
Art. 8.
(Effetti della modifica del sesso sul matrimonio)
Art. 9.
(Rilascio di documenti)
Art. 10.
(Trattamento dei dati personali)
Art. 11.
(Interventi del Servizio sanitario nazionale. Formazione del personale sanitario)
Art. 12.
(Modificazione dell’attribuzione di sesso del minore).
Art. 13.
(Diritto all’autodeterminazione del sesso).
Art. 14.
(Modifiche e abrogazioni).
Articolo 15
(Coperture finanziarie)