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Atto Camera n. 245
a prima firma dei deputati Scalfarotto, Zan, Tinagli, Chimienti
sottoscritto da 221 deputate e deputati
PROPOSTA DI LEGGE
“Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205, per il contrasto dell’omofobia e della transfobia”
Sulla scia degli episodi di omofobia e transfobia, che hanno funestato il nostro Paese negli ultimi anni, è diventato ineludibile affrontare un problema che da tempo le associazioni a tutela delle persone LGBTI denunciano. L’omofobia e la transfobia sono fenomeni affatto nuovi, ma l’eco mediatica di quanto accaduto di recente ha destato finalmente l’attenzione sociale e della classe politica.
Nella violenza e nella discriminazione di stampo omofobico e transfobico la peculiarità dell’orientamento sessuale delle vittima, ovvero l’essere omosessuale oppure l’essere transessuale, così come l’essere donna, per fare un esempio, nella violenza sessuale contro di esse, non sono neutrali rispetto al reato, del quale costituiscono il fondamento, la motivazione e, in senso tecnico, il movente, né è neutrale rispetto ad essi l’autore del reato stesso, che si trova in uno stato soggettivo di disprezzo o odio rispetto alla vittima.
Si ritiene che, per contrastare i reati motivati da stigma sessuale, in particolare modo nei confronti delle persone omosessuali e transessuali, sia più efficace, rispetto alla mera introduzione di una circostanza aggravante, prevedere l’estensione dei reati puniti dalla Legge Mancino-Reale anche alle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere della vittima, così come previsto in numerose proposta di Legge già depositate in Parlamento nelle precedenti legislature.
Si è sostenuto che l’estensione della Legge Mancino-Reale potrebbe condurre alla condanna tanto della mamma che suggerisse alla figlia di non sposare un bisessuale, quanto del padre che decidesse di non affittare una sua casa al figlio che volesse andare a vivere nell’immobile con il proprio compagno.
È evidente che in una normale dinamica processuale queste ipotesi di scuola non potranno mai verificarsi per un motivo molto semplice, e cioè che la Legge Mancino-Reale si basa su una nozione di discriminazione il cui significato si può trarre sia dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, sia dalla Convenzione internazionale di New York del 7 marzo 1966 sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, sia dall’art. 43, comma 1, del D.Lgs. n. 286/1988, successivamente meglio puntualizzata nella Direttiva n. 43/2000, recepita con il D.Lgs. n. 215/2003, nonché nella Direttiva n. 78/2000, recepita con il D.Lgs. n. 216/2003, che fa menzione anche dell’orientamento sessuale.
Il bene giuridico tutelato è quindi ben individuato. In base al principio dell’offensività, che deve caratterizzare la condotta penalmente rilevante e che vincola il Giudice nell’interpretare e applicare la legge penale, ai sensi dell’art. 49, comma 2, del codice penale, se si verificassero le ipotesi richiamate, le stesse ricadrebbero nell’ambito dei reati impossibili, in quanto la condotta non sarebbe idonea a ledere o a porre in pericolo il bene giuridico protetto.
Inoltre, la fattispecie delittuosa descritta dalla Legge Mancino-Reale è molto chiara e precisa, individuando condotte che vanno ben al di là della semplice manifestazione di un’opinione. Infatti, essa punisce l’istigazione a commettere una discriminazione o una violenza, non delle opinioni, quand’anche esprimano un pregiudizio. La differenza tra un mero pregiudizio e una reale discriminazione dipenderà ovviamente dalle condizioni di tempo e di luogo, nel corso delle quali si manifesterà il messaggio, dalle modalità di estrinsecazione del pensiero, da condotte precedenti dell’autore, e così via, in modo da verificare se il fatto si possa ritenere realmente offensivo del bene giuridico protetto.
Il testo originario della Legge 22 maggio 1975, n. 152, cosiddetta “Legge Reale” stabiliva l’applicazione della sanzione penale solo per le discriminazioni e le violenze “nei confronti di persone perché appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o razziale”. Nel 1993, con il decreto-legge n. 112 del 26 aprile, cosiddetto “decreto Mancino”, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205, vennero introdotte altre norme altre fattispecie, come ad esempio il fattore religioso, ed altre ancora ne furono introdotte, fino ad arrivare all’elenco attualmente presente nell’art. 3 della Legge n. 654 del 1975 e nelle leggi speciali che, ad esempio, rendono applicabile l’articolo 3 alle minoranze linguistiche.
La presente legge si pone due obiettivi: da un lato modificare la misure delle pene previste dall’art. 3 c. 1 lett. a) e b) della Legge 13 ottobre 1975, n. 654; da un altro lato estendere la sua applicazione alle discriminazioni motivate dall’identità sessuale della vittima del reato, come definita -ai fini della legge penale- dall’articolo 1 della presente legge.
L’art. 3 della predetta legge, che ratifica e dà esecuzione alla Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, è stato modificato da ultimo dall’art. 13 della Legge 24 febbraio 2006, n. 85, sotto due profili: la descrizione della condotta incriminata e le pene previste.
Nel testo risultante dalle modifiche apportate nel 1993 dal decreto Mancino la disposizione prevedeva, infatti, la reclusione fino a tre anni per chiunque diffondesse in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incitasse a commettere o commettesse atti di discriminazione per motivi razziali, etnici o religiosi. La legge n. 85 del 2006 ha dimezzato la pena della reclusione (ora prevista fino a un anno e sei mesi) e ha introdotto la pena della multa fino a 6.000,00 €, in alternativa a quella della reclusione; sotto un altro profilo, la condotta è stata ridefinita modificando il termine “diffusione” con quello di “propaganda” e sostituendo il termine “incitamento” con quello di “istigazione”.
La Legge n. 85 del 2006, non punendo più la diffusione delle idee discriminanti, ma la propaganda, e non più l’incitamento a discriminare o a delinquere ma l’istigazione, introduce modifiche che potrebbero sembrare solo terminologiche, ma che in realtà dal punto di vista della legge penale introducono fattispecie più circoscritte e riducono il numero dei comportamenti punibili.
Passando all’illustrazione del contenuto della presente legge, l’art. 1 definisce ai fini della legge penale l’identità sessuale e le sue componenti, in modo che la norma penale rispetti i principi di tassatività e determinatezza. Nella definizione delle componenti dell’identità sessuale sono ricompresi l’identità o i ruoli di genere, nonché i diversi orientamenti sessuali (omosessuale, eterosessuale o bisessuale) così come pacificamente riconosciuti dalla legislazione e dalle scienze psico-sociali, che nulla hanno in comune con comportamenti genericamente afferenti alla sfera sessuale, siano essi leciti o illeciti.
L’articolo 2 reintroduce, in luogo della propaganda, la condotta della diffusione, in qualsiasi modo, delle idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale; prevede nuovamente, sia alla lettera a), sia alla lettera b) del comma 1 dell’art. 3 della Legge n. 654 del 1975, la condotta di incitamento in luogo dell’istigazione (fattispecie più circoscritta), in linea con la citata Convenzione e con lo stesso art. 3, comma 3, della suddetta legge (il quale incrimina l’associazione a fine di incitamento dell’odio razziale).
Le pene previste differiscono per la gravità delle condotte realizzate. In caso di incitamento a commettere o di commissione di atti di discriminazione è mantenuta l’attuale previsione della reclusione fino a un anno e sei mesi – a tanto ridotta dalla riforma del 2006 – eliminando, tuttavia, l’alternatività con la multa. Analogamente, in caso di incitamento alla violenza o di commissione di atti violenti, non viene modificata la pena prevista che va da sei mesi a quattro anni.
La scelta di non modificare le pene attualmente previste, anziché inasprirle così com’era nel testo vigente prima delle riforma del 2006, si giustifica alla luce delle modifiche alle sanzioni accessorie, come si dirà nell’illustrazione del successivo articolo 4 di questa proposta di legge. Coerentemente con il principio costituzionale della rieducazione del condannato, cui devono tendere le pene, appare più efficace – in materia di reati d’odio- l’applicazione di sanzioni accessorie, piuttosto che la reclusione.
Ai fattori di discriminazione considerati dall’art. 3 della citata Legge Reale la presente legge aggiunge l’identità sessuale.
L’articolo 3 coordina le altre disposizioni e le rubriche degli articoli dello stesso decreto-legge n. 122 del 1993 con il contenuto delle presente legge.
L’articolo 4 modifica l’art. 1 del decreto-legge n. 122 del 1993 disponendo che il Tribunale applichi obbligatoriamente, e non solo facoltativamente, come fino ad ora previsto, con la sentenza di condanna, la comminazione della sanzione accessoria dello svolgimento dell’attività non retribuita a favore della collettività da parte del condannato. Tra i soggetti presso i quali predetta attività può essere svolta, sono inserite le associazioni che si occupano di tutela delle persone omosessuali e transessuali. L’attività non retribuita a favore della collettività dovrà essere svolta al termine dell’espiazione della pena detentiva per un periodo tra sei mesi e un anno – mentre attualmente, oltre ad essere facoltativa la comminazione, è prevista per un periodo massimo di dodici settimane-, e deve essere determinata dal giudice con modalità tali da non pregiudicare le esigenze lavorative, di studio o di reinserimento sociale del condannato.
L’articolo 5 sostituisce il comma 2 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 122 del 1993 specificando che la circostanza aggravante, nel caso di reati commessi per le finalità indicate dal comma 1, deve sempre essere considerata prevalente dal giudice rispetto alle circostanze attenuanti concedibili all’imputato. Nel testo attualmente in vigore, tale previsione, è formulata in modo da prevedere che le attenuanti non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto all’aggravante.
Art. 1
(Identità sessuale)
Ai fini della legge penale si intende per:
Art. 2
(Modifiche all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654)
Art. 3
(Modifiche al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205)
a) la parola: «finalità» è sostituita dalla seguente: «motivi»;
b) dopo le parole: «o religioso» sono inserite le seguenti: «o relativi all’identità sessuale della vittima».
Art. 4
(Modifiche al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205).
Art. 5
(Modifiche all’art. 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205).