Dare del frocio “è un’ingiuria”. La Cassazione ravvisa nel termine “un chiaro intento di derisione e di scherno, espresso in forma graffiante” e annulla l’assoluzione di un quarantenne abruzzese denunciato nel 2005 per aver rivolto a un conoscente l’epiteto incriminato.
Quel termine, afferma la Suprema Corte, definisce come un insulto l’omosessualità.
L’etimologia più diffusa fa risalire la parola frocio ai costumi dei lanzichenecchi papali, che sovente violenti e ubriachi avrebbero avuto le “narici frogie rosse”.
La quinta sezione penale presieduta da Bruno Foscarini ha cassato la sentenza di un giudice di pace che ha “assolto” l’insulto perché “ha edulcorato e svalutato la portata lesiva della frase pronunciata”. L’assoluzione, sancisce la sentenza 24513, è stata “una decisione contraria alla logica e alla sensibilità sociale che ravvisa nel termine un chiaro intento di scherno”.
La sentenza segue ad altre, che avevano a che fare con un sinonimo dialettale di frocio.
Tra le reazioni che sono seguite alla decisione, colpisce l’invito dell’on. Grillini a rispondere con l’ironia piuttosto che prendere carta e penna e denunciare chi si fa scherno dell’omosessualità altrui.
Ora, premesso che ogni opinione è rispettabile, viene solo da chiedersi se un siffatto suggerimento sia condivisibile.
In Italia sentenze come queste servono tantissimo. Servono a far emergere una realtà, servono a far riflettere sull’omofobia radicata nella società, servono agli omosessuali che si sentono meno soli e soprattutto presi in considerazione dal diritto.
Cominciare a denunciare soprusi del genere serve a tutti, serve a creare una società più tollerante.